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mercoledì 14 settembre 2016

Il girasole improbabile

  E45, subito dopo l'uscita per Umbertide, direzione Roma. Dal mio lato la strada ha una doppia corsia, poi un cordolo bruttino di cemento e di là le altre due corsie in senso opposto. Intorno campagna e colline.

  Beh? Beh: le improbabilità. Stavo giusto ponzando su quanto sia improbabile per me, impiegatuccio anonimo famigliodotato, riuscire a mantenere un biplano impegnativo come Greta, che ecco là la risposta. Alla base di quel cordolo di cemento tra le carreggiate opposte.

  Di solito nelle fessure tra cemento e asfalto nasce qualche ciuffo d'erba, al massimo un tarassaco i cui soffioni sono spazzati via giovanissimi dalla turbolenza delle vetture in corsa.
  Stavolta invece no: mi dà le spalle addirittura un girasole.
  L'improbabilità.
  Una pianta giovane ma alta, con il fiore ben aperto pronto ad abbronzarsi appena le nubi lo permetteranno. Al centro dell'autostrada, contro ogni logica, contro ogni probabilità.

  OK, è un caso assurdo. Ma che insegna a non scrivere i propri piani secondo le probabilità di successo altrimenti ci precluderemmo la possibilità di farci sorprendere.
  Forse quindi Greta passerà un lungo e radioso futuro con me. Contro le probabilità.

  E mentre inizio a dirmi che la penso così perché mi fa comodo, perché sto tornando da un meraviglioso week end di volo sulla costa veneta dove ho vissuto i miei sogni (improbabili pure loro, e ormai avverati come quel girasole), mentre mi dico che il problema è nei conti entrate-uscite che i numeri mica giocano, ecco che abbasso lo sguardo. Il GPS mi dice i chilometri che mancano: 123. Il contachilometri parziale mi dice quelli che ho fatto: 456.
  Va bene, mi arrendo. Quante probabilità c'erano di pensare che i numeri non giocano e subito dopo abbassare l'occhio nel momento dell'123 456? (Tante, lo so, inconsciamente i miei occhi avevano già visto quei numeri e mi hanno convinto ad abbassare lo sguardo... No, OK. mi sto zitto.)

  Mi arrendo. Non valuto più le probabilità per prendere la decisione.
  E un attimo dopo il cielo con le nubi arancioni del tardo pomeriggio si accende di saette e lampi, nastri elettrici che adornano il cielo di luci pure, in uno spettacolo unico di archi proprio sopra la mia strada che mi accompagnerà sino a Fiano Romano.

  Mai mettere in dubbio l'improbabilità. E' il potere di farci sorprendere. OK Greta, ho capito. Grazie.

giovedì 7 aprile 2016

Faccio coming out.

  OK, faccio coming out. E' corretto.

  Chi mi conosce sa già che, secondo la visione comune, ho pensieri contro la "normale" natura umana, faccio cose per cui il mio corpo non è stato creato, ho desideri contro natura che mi fanno sentire vivo.
  Non è difficile vedermi in atteggiamenti che rendono chiare le mie tendenze e molti l'hanno notato. Quindi eccomi qui a fare coming out una volta per tutte, a dire chiaramente che no, non sono "normale", non ho nemmeno provato ad esserlo e se per questo mi viene chiesto di sentirmi un malato di mente, no grazie, c'è qualcosa di sbagliato e non è in me.

  Ecco, lo dico chiaramente: vado contro natura, è vero.
  Mio padre mi ha accettato, lui con la sua cultura all'antica non lo farebbe mai e all'inizio ha avuto problemi ma l'ha accettato e anzi ora è pure orgoglioso di me, di come vivo questa vita difficile di diverso dagli altri coetanei che vivono coi piedi per terra.
  A me piace volare.
  Sì, l'ho detto. Volare. Contro natura ché noi non siamo fatti per volare, contro la morale comune ché non si buttano così soldi e vite, contro lo stesso istinto di sopravvivenza. Con parapendii, biplani ultraleggeri, se serve ombrelli aperti, simulatori o solo fantasie (e no, ho le prove, usare tanto i simulatori non fa diventare ciechi).

  Vorrei gli stessi diritti degli altri e magari un giorno io e gli altri anormali riusciremo a ottenerli: hangar a prezzi di garage, facilità di trovare benzina nelle aviosuperfici, la possibilità di circolare più liberamente senza essere relegati in spazi aerei di serie B (anzi G) sotto gli aerei "normali", non doverci nascondere ogni volta che il Papa si affaccia e ci lancia contro un NOTAM, non essere più cacciati dagli aeroporti per ghettizzarci in campi fangosi come se si vergognassero di noi, non dover frequentare squallide club house private per trovare altri come noi.
  Magari un giorno, magari presto.

  Ecco, ho fatto coming out, mi ci è voluto coraggio e so di aver dato delusioni a chi mi conosce superficialmente ma io sono così: sono un diverso, mi piace volare, non posso farci nulla e non è una malattia. Spero di poter essere d'esempio ad altri e di leggere altri coming out, ora che l'ho fatto già mi sento più leggero e, si sa, essere più leggeri significa volare meglio.


Gianni

:D :D :D

martedì 29 marzo 2016

Astronauti e fumatori eccezionali



Treno, 7:30, verso l'ufficio. Leggendo l'autobiografia di Cheli, l'astronauta, che raccontava quanto gli fu difficile passare dalla seconda media nel paesino emiliano alla terza media nella grande Bologna. E poi eccolo là a fare missioni nello spazio. Mentre leggo si siede accanto a me un signore, 40-45 anni, giaccone rosso, puzza di sigaretta insopportabile, vecchi libri in mano. Chiama la mamma al cellulare e poi una scusa e si inizia a conversare. Io non sono mai ben disposto con chi mi interrompe una lettura, specie se puzza di fumo, ma l'antipatia dura poco: dai treni si passa alla politica, alla droga e infine all'amico morto per overdose conosciuto in comunità. Sì: perché il mio compagno di viaggio ha vissuto gran parte della sua vita in una comunità "voluta dal dr. Basaglia, legge 180" mi precisa, e ora vive in una casa famiglia. Problemi mentali non precisati, di cui resta un segno nel modo di parlare e nel muoversi più del dovuto sul piccolo seggiolino. Legge vecchi libri di politica e storia, si dichiara un rivoluzionario pacifista, difende gli animali, ahimé sceglie di non andare a votare. Parla tanto, si muove troppo, puzza come una discarica per posaceneri. Insomma, una persona da cui la maggior parte della gente si siede lontana: invece alle mie domande sulla vita in comunità si è illuminato e il libro di Cheli, l'astronauta che aveva problemi in terza media, è diventato banale. E poi con orgoglio mi ha detto che un giorno è diventato tanto autonomo da essere messo in uscita dalla comunità, fare addirittura un corso per office automation ("i computer" precisa) a piazza Bologna, un corso durato un intero anno. "Ora - mi dice con un evidente orgoglio - so passare le fotografie dalla macchinetta fotografica al computer". Alza un dito a sottolineare con fiera competenza: "Col cavetto".
Gente così merita ogni bene, ogni augurio. Sono stato felice di aver avuto vicino quella puzza di fumo stamattina, con buona pace del libro di Cheli. Gli ho fatto i miei migliori auguri e lui li ha fatti a me. Raggiungere i propri traguardi misurati col proprio metro, esserne orgogliosi. Andare a lavoro con lo stesso impegno e fierezza con cui si va nello spazio. Se mai andrò nello spazio difficilmente ripenserò alla terza media di Cheli ma ogni volta che sposterò foto dalla macchinetta fotografica al computer ("col cavetto") senza dubbio penserò a questo incontro, e saprò che per qualcuno ciò che riteniamo banale è una meta conquistata con orgoglio.

L'ho seguito con lo sguardo perdersi nella folla della metro a Piramide, unico giacchetto rosso tra il fiume di uniformi eleganti e tanto grige. Auguri, fumatore. Grazie per l'invasione.

venerdì 8 gennaio 2016

Il bruconcetto

  E' solo una sensazione, certo, ma ho trovato il modo di esprimerla.

  I bruchi. Prendi i bruchi. No, non con le dita: intendo il concetto. Sono vermi (che gli zoologi mi perdonino la semplificazione), fanno una vita da vermi misurandola con una scala da vermi, poi a un certo punto smettono di mangiare, non gli va più di muoversi, si rinchiudono sempre più soli e scompaiono alla vista. "Era tanto buono". Macchè, ovviamente eccoli tornare. Riaprono tutto e hop saltano fuori. Solo che non sono più vermi, sono qualcosa di splendido e completo come non lo erano mai stati, sono finalmente ciò che erano destinati a diventare. E magari gli altri bruchi non li riconoscono nemmeno. "Ma sono io, sono Mario!" "Oh splendida creatura, non mi prenda in giro solo perché sono un insignificante bruco, Mario è morto, l'ho visto io chiudersi e smettere di mangiare"
  Ecco.

  Ora lasciati contagiare dalla mia fantasia malata e immagina, per un attimo, che anche noi siamo bruchi. Facciamo la nostra vita gustosa ma strisciante. Però immagina che ci manchi qualcosa nella vita per cui il processo di trasformazione in ciò di splendido e completo che dovremmo davvero essere sia ormai compromesso, perso. Continuiamo rassegnati la vita da vermi, circondati da cose importanti solo per i vermi, con un vago malessere per qualcosa di più completo che ci manca, sino alla fine.

  Non so come si possa chiamare questa sensazione ma sta lì e finalmente gli ho dato una forma.
  E ora vado a rosicchiarmi una foglia a mensa.

martedì 18 agosto 2015

Prima Direttiva un corno

  Partiamo dalle basi, quelle sono facili.
  Una civiltà primitiva quando entra a contatto con una civiltà più progredita soccombe. E non disturbiamo Pizarro e la sua mandria di fucilieri sportivamente a caccia di indios o i cartelli vendesi schiavo nero semiusato a prezzo di realizzo. Prendiamo proprio il caso del paesino del Nepal che diventa meta turistica, improvvisamente le capre non sono più ragione di vita, diamogli cinque anni e vedremo cellulari, parabole e ADSL tra le priorità della popolazione.
  Sei primitivo? Io sono tecnologicamente avanzato. Piacere e condoglianze.
  Su Star Trek l’hanno risolto con la Prima Direttiva: “mica è bello entrare in contatto con civiltà poco progredite, finiremmo col cambiarle e renderle simili a noi o altri disastri”.
E anche noi crediamo che sia una cosa mostruosa quando una società avanzata distrugge una società meno dedita a cose come la tecnologia, l’ansia, la fretta e il creare code ai caselli autostradali nei ponti festivi: insomma una civiltà primitiva. :)

  Mi è venuto da pensare che invece noi abbiamo più e più volte distrutto società meno avanzate, e saremo distrutti a nostra volta da qualcosa di superiore che verrà. E questo non solo sta bene a tutti ma viene apprezzato e agevolato.
  Mi spiego: c’era una società agricola e di artigiani che è stata distrutta nello scontro con una società che aveva inventato le macchine a vapore e i turni in fabbrica. La società che aveva fatto dei cavalli il proprio mezzo di trasporto riempendo il mondo di abbeveratoi, stalle, maniscalchi e carrettieri è stata colonizzata e spazzata via dall’incontro con la società che usava i motori a scoppio e i treni, e questi colonizzatori hanno distrutto abbeveratoi stalle eccetera sostituendole con benzinai, asfalto, caselli autostradali, parcheggi e assicuratori. Così una società basata sulla meccanica capace di creare la pascalina e il contometro è stata annientata da una società che le ha presentato l’elettricità, e questa a sua volta si è arresa sino all’estinzione di fronte a una civiltà che usa l’informatica ovunque, tanto che oggi non esiste nulla senza processori e programmi.
  Sono esempi a caso ma ogni volta che qualcuno ha fatto fare un balzo avanti alla tecnologia lungo strade nuove ecco che il risultato è stato lo stesso che se avessimo incontrato una civiltà più progredita: prima eravamo su una strada che conoscevamo sin troppo bene, vedevamo dove andava e come ci andava, e di colpo un bivio, si cambia percorso, ci si scontra con il nostro futuro e si soccombe ad esso.
  A ogni balzo tecnologico in avanti è come se due società, la vecchia e la nuova, si scontrassero ed entrassero in competizione per una vittoria scontata. Quindi siamo stati invasi mille volte da noi stessi, mille volte abbiamo dovuto soccombere per lasciare il dominio all'invasore più progredito.


  Probabilmente siamo l’unica specie vivente orgogliosa di colonizzarsi da sola continuamente.

venerdì 7 agosto 2015

Quando le tigri volano

  OK, la mia vita sta cambiando. Capita. Di più: incredibilmente capita che stia cambiando in meglio.
  E questo video, le persone, le macchine, le emozioni e i paesaggi sono parte della mia nuova vita.

  Grazie Mila, grazie ali e tiranti, grazie ai sogni e alle coincidenze.
  Ragazzi, si vola! E un giorno (prossimo) ne scriverò. :)

  (il video è di Max De Meo: mica male, vero?)


mercoledì 26 febbraio 2014

Quello che serve

  È tutto qua.
  Prendere un tè nella cucina in penombra e sognare un po’. Sorridere tra un sorso e l’altro.
  Sognare le cose meravigliose, non quelle che sarebbero potute accadere, no, proprio quelle che accadono. Ora, qui.
  Un tempo c’erano sogni. In quanto tali, irrealizzabili. Poi con un po’ di incoscienza eccoli diventare progetti. E la strada è presa, il mondo improvvisamente è diventato più bello. Infine eccoci, ora non sono nemmeno più progetti: sono realtà. Cose belle che, come frutti maturi, cadono dall’albero proprio tra le mani. Sogni di fumetti di biplani, di concerti da vivere, di racconti vestiti a festa, di voli e di aerei. Oggi Franco sulla sua falciatrice a motore aveva ricoperto l’aviosuperficie del profumo magnifico dell’erba appena tagliata, il lago sotto le nubi era uno specchio di piombo vecchio e lame di luce, gli hangar cominciano a conoscere i miei passi e io i loro odori, quando entro non sono più uno straniero. Qualche aereo potrebbe anche chiamarmi per nome. Eh sì. Presto anche io potrei cominciare a chiamare un aereo per nome.

  Ho appena finito di prendere un tè persiano nella penombra della cucina, sorridendo ai sogni che sono diventati realtà. Ci sono anziani che sorridono allo stesso modo per i loro ricordi più belli vissuti in un passato lontano. Io sorrido per oggi. Per tutte le cose belle che accadono, frutti che cadono, tanti da rendermi difficile riuscire a stare dietro a tutto. Ho eliminato Facebook, non ne ho il tempo, ho persino smesso di scrivere mail, spero che gli amici più cari possano capire.
  Ogni giorno prendo un tè nel pomeriggio, da solo o con le donne della mia vita. Nella cucina in penombra, sorridendo. E credo che, davvero, sia tutto qua. Quello che serve per essere felici.


sabato 28 dicembre 2013

Diamo i numeri. Pepe e l'iPhone.

  Non è bello fare i conti ma a volte capita, per sbaglio, di trovarsi in mezzo a un conto scomodo.

  Allora, è il 2013 ancora per un paio di giorni, poi anche questo numero cambierà insieme agli altri. Sì, i numeri cambiano. Viviamo in equazioni composte solo da variabili, dove ogni valore delle migliaia di variabili cambia di giorno in giorno, e non è facile smettere di comportarsi intuitivamente e accorgersi di quanto sia difficile fare i conti.
Cambia l’anno, cambia la data, cambiano i prezzi e le età. Oggi ho 49 anni, c’è un treno per Roma ogni 10 minuti, sto pensando di prendermi un esagerato iPhone 5S con contratto telefonico a 289 euro più 30 al mese per 30 mesi. Poi unisco i numeri. Io guadagno 1600 euro al mese, grazie al cielo, e lavoro 40 ore a settimana. Quasi sette giorni di fila in ufficio ogni mese. Ogni giorno di lavoro porta via almeno un’ora e mezza di viaggio tra andata e ritorno, ma questo non lo conto anche se sono ben 30 ore a mese che vanno in beneficenza. il conto è facile: 1600 euro per 160 ore: nonostante la busta paga dica cose bellissime, io guadagno 10 euro all’ora. Dieci euro. Un libro economico costa 10 euro. Cinque litri e mezzo di benzina sono dieci euro. La mia Kangoo con un pieno di 50 litri di gasolio fa 800 chilometri. Quando era nuova ne faceva 900. Quindi con 10 euro fa 88 chilometri. C’è una certa armonia in questo: io ci metto un’ora a guadagnare 10 euro e 10 euro mi fanno camminare l’auto per un’ora. Come i criceti nella ruota, la ruota gira solo lo stesso tempo in cui loro corrono.

  Ho pensato di comprarmi l’iPhone 5S, vero. Un vezzo, un altro numero che cambia: sostituirei il mio iPhone 4, non che non mi soddisfi, ma alcune caratteristiche del 5S mi piacciono davvero. Oddio, potrei vivere anche senza, certo, lasciando il 4 come costante anziché come variabile, ma perché?
Però sto facendo i conti. Purtroppo. E i conti sono semplici. Per prendere il 5S dovrei pagare 29 ore di lavoro subito, più 3 ore ogni mese per i prossimi 30 mesi, totale 119 ore di lavoro, 119 ore chiuso in un ufficio che non mi piace davanti a un computer che non mi piace a fare cose che non mi piacciono per sostituire a una variabile il numero 5S al posto del 4.
Comincio a pensare che sono a un passo dal dare i numeri.
Se devo fare i conti fino alla fine dovrei fregarmene dell’iPhone nuovo e contemporaneamente cambiare lavoro, il che significa cambiare vita, ma tanto della mia vita ho cambiato quasi tutto, manca solo il lavoro e poche altre briciole, è quasi il 2014, le mie chiappe sono stampate sui sedili dei treni per Roma che passano ogni 10 minuti, tanti numeri sono cambiati e molti ora sono proprio quelli che mi piacciono. Un 5S al posto del 4 in cambio di 119 ore di lavoro no, in effetti non mi piace. Che potrei fare in 119 ore? Un corso di volo prevede 16 ore di pratica e circa 30 di teoria, un corso di produzione musicale è di 7 ore, andare in spiaggia a godersi un tramonto impegna un’ora e mezza. 119 ore? Non non più abituato a capire quanto siano enormi 119 ore, quante cose strepitose possano nascere in quel tempo. Non sono più abituato perché, accettando di gettare 160 ore al mese in un lavoro al terzo posto della lista "questo non lo farò mai", il senso della misura ha avuto un infarto.

  E, dopo aver partorito questo ragionamento, leggo per caso un brano di quel genio di Mujica dove dice che lui tramuta tutto non in soldi ma in ore di lavoro necessarie a fornire quei soldi, arrivando alla conclusione che potrei tradurre con “io non avrò mai un iPhone 5S e ne sono felice”. Wow. Ho avuto un ragionamento quasi simile al grande Pepe Mujica. Mi piaccio. Anche se lui l’ha detto meglio:

La mia idea di vita è la sobrietà. Concetto ben diverso da austerità, termine che avete prostituito in Europa, tagliando tutto e lasciando la gente senza lavoro. Io consumo il necessario ma non accetto lo spreco. Perché quando compro qualcosa non la compro con i soldi, ma con il tempo della mia vita che è servito per guadagnarli.
“E il tempo della vita è un bene nei confronti del quale bisogna essere avari. Bisogna conservarlo per le cose che ci piacciono e ci motivano. Questo tempo per se stessi io lo chiamo libertà. E se vuoi essere libero devi essere sobrio nei consumi. L’alternativa è farti schiavizzare dal lavoro per permetterti consumi cospicui, che però ti tolgono il tempo per vivere.”


  Ora voglio vedere cosa mi inventerò il giorno in cui sarò in grado di coronare il mio sogno di acquistare un biplano. :)

lunedì 2 aprile 2012

Forma e funzione dei mangiatori di Nutella


  Forma e funzione. Che c’è di complicato?
  La funzione modella la forma, la forma rende più semplice la funzione.
  Lasciamo stare il collo delle giraffe e prendiamo in esame qualcosa di più spicciolo.
  Se noi dovessimo correre tutti i giorni per delle ore, beh, il corpo si modellerebbe diventando pian piano il più adatto possibile a svolgere la funzione della corsa. Se dovessimo continuamente sollevare pesi, i muscoli si adeguerebbero per facilitarci l’operazione (o ci suggerirebbero di smettere subito con una convincentissima ernia).

  Ecco, questa è la cosa buffa. Dovrebbe essere il corpo a trasformarsi per renderci più facile svolgere una nostra esigenza, la forma modellata dalla funzione.
  E invece? Invece un mucchio di gente corre per trasformare il corpo in un corpo adatto alla corsa, e alza pesi per trasformare il corpo in un corpo adatto ad alzare pesi. Da matti, no? :) E così ci sono corpi adatti alla corsa che non hanno nessun bisogno di correre, anzi abitano la scrivania dalle 8 alle 17. E corpi adattati ad alzare decine di chili con i bicipiti che poi devono alzare solo pratiche di lavoro.

  Stesso discorso per l'abbronzatura. Una componente dei raggi solari è dannosa alla pelle, genera dimeri di timina, una cosa che solo a sentirla viene da grattarsi. Così quando la pelle è esposta al sole crea melanina, che scurisce la pelle per difenderla e bloccare la penetrazione della componente dannosa dei raggi solari.
  Insomma, ci mettiamo al sole per trasformare la pelle in una pelle scura adatta a esporsi al sole! E poi con quei corpi ci rinchiudiamo in uffici a cubicolo e case con lampade a basso consumo...

  Perché facciamo tante fatiche? Per pura estetica. Quindi troviamo belli i corpi adatti alla corsa, capaci di sollevare pesi, con buone difese contro il solleone.
  Evidentemente il nostro orologio biologico è tarato a qualche secolo indietro. Ho paura a immaginare quali saranno i canoni estetici fra trecento anni, quando il maschio dominante sarà l'impiegato perfetto…

martedì 6 marzo 2012

Benvenuti nel buffo spettacolo!


  Il corpo che indossiamo è un burattino. Nello spettacolo in cui si muove vive come gli altri burattini, convincendosi che tutto ciò che ha intorno sia la realtà, testone di cartapesta incluso.

  Nel burattino c'è una mano. Noi siamo la mano. Nascosti dentro il burattino, la parte veramente viva di quel corpo che si crede vero. Ma ci vuole un briciolo di pazzia per immaginarlo sul serio.

  Lo spettacolo è una finzione, una pantomima in cui le mani imparano sempre più l'arte del burattinaio, come un pianista ad ogni esecuzione impara a muoversi sulla tastiera in maniera sempre più perfetta. Quando un burattino muore forse la mano si sfila e indossa una nuova maschera, diventando un nuovo personaggio e comportandosi di conseguenza, ma conservando l'abilità che ha imparato sinora. O forse no. Quando lo scoprirò sarà troppo tardi per scriverlo in questo blog.

  Oltre il teatrino c'è un corpo unico. Un essere buffo con milioni di mani. Io sono spudoratamente agnosta, e come tutti gli agnostici convinti ma curiosi e senza preconcetti credo in qualcosa. Uh beh non lo chiamerò mai dio, e no. Un corpo unico che unisce tutte le mani e condivide con loro la vita, così come l'oceano unisce tutte le onde e dà loro la vita. Magari una semplice fonte d'energia spaventosamente immensa di cui noi, noi-mani, siamo le propaggini.

  È un buffo spettacolo questo. E ci distrae continuamente dal burattinaio con un milione di mani, anche se noi siamo parte di quel burattinaio.

  Beh, ho sempre creduto che la realtà sia solo il teatrino di questo burattinaio. Ultimamente poi un libro mi ha perseguitato ovunque andassi, Autobiografia di uno yogi di Pramahansa Yogananda, finché non l'ho acquistato. E ho scoperto che simpatici mattacchioni indiani dallo humor di un capocomico hanno fatto scienza di questo semplice quadro. Molti di loro sono mani senza burattini, non ne hanno più bisogno, altri entrano ed escono dal teatrino a piacere. Wow.
  Non credo che questo libro mi cambierà la vita, come continua ad affermare una mole inimmaginabile di gente magari sconosciuta che incontro casualmente, perché non mi dice nulla di veramente nuovo. Però me la renderà molto più felice dal momento che mi conferma che non sono l'unico strampalato visionario su questo pianeta di cartapesta. :)

mercoledì 21 dicembre 2011

Quindi non cliccare sul link.


  Il nostro corpo ha mille piccole cosine da sistemare in ogni momento. Ma, grazie al cielo, nessuno (o quasi) passa tutto il tempo disponibile a farsi la manutenzione ordinaria: nessuno si controlla continuamente ogni cm di pelle, ogni organo, ogni valore chimico. Semplicemente sistemiamo quel poco che ci capita sotto gli occhi: i capelli, un'unghia spezzata, l'ematocrito quella volta ogni due anni che non possiamo esimerci dal fare le analisi del sangue.
  Sistemiamo solo quel poco che ci capita sotto gli occhi.
  Quindi il trucco per vivere sereni sta nel vedere il meno possibile.

  La casa, beh, la casa ha mille piccole cosine da sistemare. In ogni momento. Ma anche qui, piuttosto che andare a fare analisi strutturali e indagini a raggi X, sistemiamo quando è indispensabile solo ciò che ci capita sotto gli occhi. Una lampadina fulminata, un soffitto da imbiancare, ciò in cui lo sguardo inciampa.
  Basta essere un po' distratti e ci si evita un mucchio di lavoro.

  Possiamo allargare sempre più il cerchio e il discorso è il medesimo.
  In questo mondo ci sono milioni di cose da sistemare. In ogni momento. Nessuno di noi potrebbe sistemarle tutte, un atavico istinto di sopravvivenza ci evita di preoccuparci di tutto. Ma ognuno nonostante la tendenza a fregarsene capita che inciampi in un briciolo di questi problemi, solo un briciolo. La spazzatura differenziata. Le cure efficaci per le neoplasie. I parcheggi introvabili. La pubblicità nella cassetta della posta. Le centrali nucleari. La caduta dei capelli. La TAV.
  Ognuno, quando proprio è costretto, fa qualcosa nel suo piccolo per ciò che non ha potuto evitare di notare. Ma solo per quel poco, per carità. Non si può fare di più se ci teniamo alla nostra vita, ma non si può fare di meno se ci teniamo alla vita dell'intero pianeta. E quel briciolo fatto da ognuno è il miracolo che ci permette di mandare avanti il mondo.
  Devo dirlo? Basta chiudere gli occhi e ci risparmiamo un mucchio di seccature.

martedì 1 novembre 2011

Il paradiso

   Una giornata di nubi e mare, le donne che hanno riempito la casa di bellezza ora sono da Decathlon, io qui nella penombra dello studio a sorseggiare yerba mate e macinare fotografie da sistemare con Aperture sul Mac a ritmi da operaio inglese di inizio '900. La casa pian piano si lascia avvolgere dalla sera, quando la musica finisce tutto è silenzio.
   Adoro tutto questo. Se dovessi immaginarmi il paradiso, crederei di esserci in questo momento.

mercoledì 25 maggio 2011

Fiaba e carbonara


  Diciamo che hai una voglia matta di pasta alla carbonara.
  Per tutto il giorno pensi alla carbonara, e quando torni a casa potresti trovare anche gli alieni in salotto ma niente ti impedirebbe di mescolare come un alchimista uovo, guanciale e pepe.
  Diciamo che mentre cucini l'aroma che si sprigiona è un allucinogeno più potente dell'LSD. Ogni mitocondrio urla "Carbonara! Carbonara!!", la salivazione raggiunge i ritmi di produzione di una piccola società idroelettrica, lo sfrigolio del guanciale provoca sensuali brividi di piacere. Assapori ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Tutto tranne uno: la fame. "Carbonara!!!"


  E diciamo che poi dopo aver versato quell'opera d'arte nel piatto ed averla portata sul tavolo, come un quadro si pone al centro della cornice, al primo boccone tutta la bellezza si dissolva: pasta scotta, o troppo sale, o uovo rappreso a frittata.
  Che delusione.
  Tanta gioia e appagamento nel prepararla, e ora…


  Ecco, alcuni mangerebbero egualmente quel piatto. Fino a ieri anche io non avrei sprecato uno spaghetto. Non sarà perfetto, beh, in realtà non è nemmeno decente, e comunque molto al di sotto delle aspettative minime; ma per tutti i Tupperware, ormai è stata cucinata con tanto amore e comunque sia è un peccato sprecarla.
  Oggi no. Oggi stranamente capisco che la mancanza di rispetto consiste nel mangiarla.
  Se ci sono delle aspettative, se queste aspettative possono essere mantenute, se abbiamo fatto del nostro meglio per puntare al massimo e ottenere un piatto di cui essere orgogliosi, perché accontentarsi?
  Bradbury ha gettato alle fiamme migliaia di pagine che tutti gli editori sarebbero stati felici di pubblicare. Perché non erano all'altezza delle sue aspettative.
  Steve Jobs al rientro in Apple annientò tutti i prodotti che davano soldi alla rovinata Apple ma che non lo rendevano orgoglioso della sua ditta.
  C'era persino la fiaba di un tale paranoide come pochi che affogò tutti i pupazzetti del suo videogioco conquistati sinora e ricominciò la partita con una coppia di ogni specie su un'arca, perché non era soddisfatto del risultato (ecco, questa fu una mossa che col senno di poi possiamo definire poco intelligente).


  Nel '92 finii di scrivere Fiaba. Era un ottimo piatto di carbonara, cucinato per sei anni. Ho assaporato ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Scrivere quel romanzo presuntuoso è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
  Eppure ora, servito in tavola, tutta la bellezza si dissolve. Non funziona, le buone idee si perdono nel mare di ripetizioni, le descrizioni originali stufano e appesantiscono.
  Eppure ci tenevo così tanto a questo romanzo che lo consideravo un punto d'arrivo.
  Ora ha una copertina, si acquista nelle librerie, vive di vita propria.
  Ma la pasta è scotta, il sale è eccessivo, l'uovo ha cotto a temperature eccessive.


  Non è facile farlo ma getto la pasta e ricomincio a cucinare da capo.
  Mangiare questo piatto significherebbe accontentarsi di non aver raggiunto lo scopo, mentre so di poterlo raggiungere e superare: Fiaba l'ho vissuto, non l'ho solo scritto, so bene cosa aspettarmi da lui, di certo non è questo tomo pesante e noioso.
  Così ora, in questo momento, apro il cestino, ritiro Fiaba dalla distribuzione e appena potrò ricomincerò a correggerlo, parola per parola, riscrivendo interi capitoli, lasciando solo ciò di cui sono orgoglioso sia come scrittore che come lettore. Perché Fiaba è il romanzo che ho sempre desiderato leggere, e non mi va affatto di accontentarmi.

mercoledì 20 agosto 2008

Post per travianati




Fantastico!!

Travian, un giochetto online dove si passa il tempo a guardare semplici numeri sullo schermo che cambiano, in una grafica che definire lobotomizzata è poco.
Eppure è fantastico: abbiamo un'alleanza, una piccola società perfetta, la più bella dei sette mari -pardon, sette server- e la abbiamo battezzata AllePanza. Per puro caso sono il Fondatore, e con una sessantina di persone sparse per l'Italia abbiamo creato una rete di amicizia e solidarietà che è difficile da immaginare dal di fuori... Nell'immagine qui a fianco c'è la prova, un alleato subisce degli attacchi cafoni e tutti hanno partecipato mandando rinforzi. Mi aspettavo un migliaio di soldati in tutto e invece... Hehee... E altri stanno ancora arrivando!!

...Mi immagino una versione moderna di questo giochetto: si tira avanti una famiglia anziché un villaggio, e quando il giocatore viene licenziato tutti i colleghi mandano rinforzi in generi alimentari e collette aziendali... Sarebbe bello... :)

Grazie a tutti gli AllePanzuti!

lunedì 2 luglio 2007

Cose incredibbbili!

Veniamo al dunque.
Effettivamente la Terra è un bel posto per passarci le vacanze. O almeno così devono pensarla le zanzare, maledette loro e chi le ha programmate. Non potevano nutrirsi, che so, di forfora, e fare un rumore che allieta il sonno? Beh, ma questo è un altro discorso.
Dicevo, il bello di un posto simile è che vi accadono cose assolutamente sorprendenti, senza alcuna logica. Alcune bellissime addirittura. Ad esempio incontrare uno dei miei miti supremi, Ugo Sestieri, in biblioteca. Impossibile descriverlo se non lo si è conosciuto, diciamo semplicemente che un mondo senza Ugo è come pane e Nutella senza Nutella. Ehm, un giorno finirò in analisi per questa ossessione della Nutella. E pensare che praticamente non la mangio neanche più.
Altro esempio, da pischello sognavo di volare. A quei tempi nell'enciclopedia Conoscere la pagina più consumata era quella che mostrava il disegnino di un piccolissimo elicottero monoposto, praticamente un incrocio tra un modello radiocomandato e un megazaino da trekking con poltroncina annessa. Ora svolazzo quando voglio col parapendio, chi l'avrebbe mai detto?, e l'omino del disegno lo immagino attaccato ad Internet a vedere su Flickr le mie foto sognante. Hehee.
Ultimo esempio, il più incredibile: non solo vado un anno alla scuola di musica più divertente dell'Universo Colonizzato a studiare clarinetto, non solo alla fine dell'anno faccio lo spettacolo di rito, ma addirittura uno dei due pezzi che propongo è il mio! Ugh, è la prima volta che propongo un pezzo di Sarti ad un pubblico (beh, pubblico, oddio: contando Angela Neve e Grazia erano circa 10 persone!) ma addirittura il pezzo di Sarti ottiene più applausi del pezzo di Bach accompagnato al piano!
Tutto ciò è incredibile. Fa nulla che sono un principiante patentato, fa nulla che comunque la stecca di rito l'ho presa e anche bella impertinente (ne avevo preventivate 5, son felice lo stesso!), fa nulla che in sala c'erano 4 gatti. Ho suonato sul palco! Jazz alla Sarti!! Vacca boia, questo è più incredibile di un'astronave che va a gazzosa. Parte la base: il basso, giocherellone. Otto battute. Attacca il clarinetto con un'entrata discreta. Le note si animano, entrano gli altri strumenti e la batteria, il clarinetto gioca su ottavi a suon di swing, fraseggia con rrritmo, ed ecco il miracolo, la musica è più della somma degli strumenti, qualcuno batte il piedino a tempo! Sembra una sciocchezza, ma quando qualcuno batte il piedino a tempo o si sta annoiando (e allora va fuoritempo o si ferma dopo non più di 4 battute) o stai sicuro che poi batterà le mani. Io sono un principiante, e la mia stecca nel si acuto l'ho presentata come da manuale, nel rispetto della Convenzione di Ginevra. Ma qualche piedino l'ho visto segnare il tempo, la pianista (che poverina s'è annoiata a tutte le prove dei pezzi di clarinetto e piano) mi ha detto entusiasta che il brano le è piaciuto molto, e -cosa più importante di tutte- una certa signorina di cinque anni e mezzo ha detto che sono stato bravissimo.
Beh, suddetta signorina, nonché erede unica dello sterminato Impero Sartolino, mi ha aiutato enormemente: le ho spiegato prima del concertino che avrei fatto due pezzi difficili, e che potevo cavarmela solo se lei mi aiutava battendomi il tempo: anche piano piano col piedino, io l'avrei sentita lo stesso, e avrei suonato bene.Poverina, per vari motivi quando ho suonato io Angela l'ha presa in braccio: i piedini non arrivavano più a battere il tempo, così in un lampo di genio mi ha aiutato battendo pian piano le mani. E io ho suonato bene. :-)
Ce l'ho fatta. Sembra una cosa normale, simpatica ma banale, invece per me conta molto. Sul palco ci sono stato diverse volte, eppure mi prende un mostro sullo stomaco al pensiero, prevedo catastrofi ed errori, il panico è seduto in prima fila, guarda e affila i denti mentre si lega un tovagliolo al collo. Invece ho suonato, ce l'ho fatta, reeee dorè, ho superato il si ulfido, e addirittura ho suonato uno strumento ostico presentando un pezzo mio. Che altro vuoi dalla vita?
La prossima volta galleggerò nello spazio giocando a carte con un metanoide. Sì, la Terra è un posticino simpatico dove l'Ente Turismo fa del suo meglio per non farci annoiare, nel bene e nel male. ;-)
G!