Visualizzazione post con etichetta visioni alternative. Mostra tutti i post
Visualizzazione post con etichetta visioni alternative. Mostra tutti i post

martedì 5 marzo 2019

Lo ZX81 che cambiò tutto

38 anni e nemmeno un capello bianco!
Era il 1983 credo. O l'82, importa poco. Sì, forse l'82. A quei tempi non si sapeva mica che un computer avrebbe avuto una vita più breve di una lucidatrice. Che la lucidatrice che avevamo in casa aveva almeno trent'anni, beh trenta no, ma era degli anni '60 comunque, diciamo del '64-'65 e nell'82-'83 era maggiorenne lo stesso.

Era l'82 e il futuro prometteva di cambiare il mondo. Sì, poi l'ha fatto, lo fa sempre. Però mica come ci aspettavamo. Ma questo è un altro discorso. Era l'82, e l'ho detto, e c'era questo computer sul mercato già da un anno, il Sinclair ZX81. Che poi era la versione aggiornata dello ZX80, dove l'ultima coppia di cifre indicava l'anno d'uscita. Errore madornale oggi chiamare un computer con la data di uscita, dopo pochi mesi sembrerebbe già vecchio; ma allora c'erano le lucidatrici maggiorenni e avevo ancora in bella mostra la radio a valvole che quando la accendevi si illuminava lenta di un colore caldo e solo dopo parecchi secondi iniziava a parlare; e la TV da anni quando la spegnevi concentrava tutta la sua luce magica in un unico puntino che pareva un tunnel al centro dello schermo, non sai quante volte da piccolo ho appoggiato l'occhio a quel tunnel per sapere cosa si potesse vedere dall'altra parte, come fosse una finestra. Era un fascio di particelle in realtà e non so come abbia fatto io a non diventare cieco. Comunque gli oggetti duravano, non venivano aggiornati continuamente. Almeno io la ricordo così.

L'82. Un anno al diploma di maturità. Non ricordo che lavoretti facessi ma investii tutta l'imponente cifra di 149.000 lire per comprare il mio primo computer. Lo ZX81 appunto. Prometteva il nulla, ma era il futuro. Girai mesi a Roma per cercare l'offerta migliore, mica come oggi che dopo pochi mesi esce il modello più potente. Oggi nemmeno si usano più le lucidatrici per quel che mi riguarda. Ricordo il loro rumore infernale sul pavimento per spandere la cera, ricordo che poi si scivolava e c'era sempre una mamma a urlare "Usa le pattine, ho dato la cera!". Non mi mancano le lucidatrici. Il loro odore di cera calda sì. La mamma di più. Ma anche questo è un altro discorso.

Girai per mesi tutta Roma. Il Sinclair ZX81 lo vendeva la GBC ma poi c'erano altri importatori, negozietti, e oltre a essere più economici c'è il fatto che alla GBC erano proprio antipatici. Non so perché lo pagai 149.000 lire dopo aver girato mesi in cerca del prezzo più basso visto che il prezzo di listino ufficiale era 99.000 lire più IVA. IVA al 18%. Bei tempi. Forse lo pagai 117.000 lire e ricordo male. Ma ciò che resta non è ciò che è accaduto, no, è solo ciò che si ricorda.
Comprai lo ZX81 a Furio Camillo, un quartiere di Roma che negli anni successivi per un po' divenne il fulcro dei migliori negozi di informatica romani. Che mica si chiamava informatica. Si chiamava computer. Qualsiasi cosa era computer. Negozi di computer. Cassette per il computer. Esperti di computer. L'informatica era una facoltà universitaria, una cosa teorica. Qui invece grazie al signor Sinclair, poi meritatamente fatto baronetto dalla regina, il computer - tutt'altra cosa che l'informatica - era un oggetto economico, mai stato così economico, e semplice, che poteva essere acquistato da chiunque. Beh, sì, non serviva a un piffero, ma chiunque poteva portarselo a casa. Anche io. 149.000 lire, che non erano pochissime ma caspita, ci portavi a casa un computer, ti rendi conto? Che i computer finti fino a quel momento stavano solo nei film di fantascienza, erano cattivi, uccidevano tutti e alla fine morivano, sì, morivano, mica si spegnevano, proprio morivano, tra mille scintille sentenziando frasi che sembravano avere il punto dopo ogni parola. Articoli compresi. Che i computer veri fino a quel momento li avevano la NASA e il Pentagono e certo non li usavano per mettere online giallozafferano.it. E tu con 149.000 lire (o 117.000 se hai una memoria migliore della mia) ne portavi a casa uno. Più piccolo, sì, non parlava nemmeno con i punti a ogni parola, per fortuna non moriva tra mille scintille. A volte semplicemente non si accendeva e lo faceva in dignitoso silenzio, allora potevi aprirlo e con un saldatore smanettare un po', e spesso la colpa era solo dell'alimentatore. Ci ho messo più stagno in quell'alimentatore che non hai idea, alla fine pesava il doppio di quando l'ho comprato.

Lo ZX81 era piccolo, sì, e inutile, ma era un computer. Cacchio. Nel 1986 con uno ZX81 entrarono nella rete francese e misero fuori funzionamento il potente Cray-1, che al tempo era la Ferrari dei grandi computer per aziende miliardarie - macché Ferrari, era un autotreno Volvo per sceicchi, e questo era il Cray-1 che gestiva i dati degli esperimenti nucleari francesi a Mururoa, 'nimaccia loro. Ne parla pure Wikipedia. Dice che i ragazzi che fecero l'atto di hackeraggio, che al tempo non so nemmeno come si chiamasse un atto di hackeraggio, lasciarono il messaggio "Il vostro Cray-1 è stato momentaneamente sostituito da un semplice ed economico ZX81 Sinclair". Non c'era ancora l'emoticon della pernacchia altrimenti ce l'avrebbero messa.

Fui promosso con buoni voti, mi dedicai al computer. Quando lo portai a casa aveva un manuale dalla copertina bellissima, fantascienza pura, mai vista una copertina tanto bella in un manuale fino a che non comprai lo ZX Spectrum. Ma poi era tutto in inglese e io a parte lo scolastico "Hello doctor Green" pronunciato quasi come si scrive non è che fossi un drago in inglese. Però nel 1986 andai con mia sorella tre settimane in Inghilterra e Scozia e sopravvissi. Merito dei tentativi di tradurre il manuale.

La prima volta che lo attaccai alla TV rimasi a guardare lo schermo bianco con un cursore lampeggiante, un quadrato che se ricordo bene era nero con la K bianca sopra. Che lo ZX81 non aveva mica i colori. Rimasi affascinato da quella magia. Con la mente mi figuravo le mille cose che poteva fare quella macchina. Ma non sapevo chiedergliene nemmeno una, quindi restavo a guardare il cursore lampeggiare. Bello. Ammazza aò quant'è bello. Lampeggia. Guarda come lampeggia. Aspetta che imparo e vedrai. Ma intanto famme vede' come lampeggia. Bello il computer mio. Avesse la coda scodinzolerebbe, ma non ce l'ha, quindi lampeggia.

Mesi dopo nella fattoria marchigiana dei parenti con mio cugino pensai di fare bella figura: attaccai il computer (che era un vero portatile, piccolino e leggero) alla TV di campagna e in solo mezz'ora programmai un orologio. Dodici numeri neri disposti a cerchio e degli sgorbi quadrati che con un po' di fantasia avrebbero dovuto essere le estremità delle lancette. Rimanemmo a vedere quella magia in silenzio. Che lo ZX81 non aveva mica i suoni. Io immaginavo "mio cugino penserà che sono un genio". Lui rifletteva "Mezz'ora per tirare su uno sgorbio di orologio: che coglione, ce n'è uno proprio al muro". Altri tempi. La gente non era pronta a comprendere qualcosa che ancora non c'era e che non si sapeva a cosa diavolo potesse mai servire. Beh, detta così come dar loro torto?

Programmai i miei primi giochi. Pesci che mangiavano bolle che scorrevano grossolanamente sullo schermo. Pesci fatti con simulacri di coda, O maiuscole, parentesi aperte per la bocca aperta o un uguale per la bocca chiusa che si alternavano sullo schermo. Così: >O(  e  >O=  Chi mai a vederli dubiterebbe che si tratti di pesci. Direi più orate voraci del Tirreno anche se non me ne intendo. E le bolle erano "o" minuscole. Facile. Che lo ZX81 non aveva mica la grafica. Per giocarci dovevi essere seriamente motivato e anche così due ore di programmazione ti donavano dieci minuti passati a spostare orate del Tirreno prima di stufarti di un gioco tanto idiota, ma vuoi mettere? Usare il Basic di quella macchina per programmare era eccezionale, era come se i pensieri fossero una pasta informe che passavi attraverso il filtro della logica pura e ne uscivano spaghetti ordinati, dritti, allineati. Se non riuscivi a ordinare così perfettamente i pensieri non potevi programmare. E sì, che ora puoi permetterti di sprecare righe di codice quante ne vuoi, qui al lavoro non so nemmeno quanti gigabyte di memoria abbia il mio computer, il Mac di casa credo ne abbia 16 o forse il doppio, è così ampia che non mi interessa sapere la cifra. Ma prima no. Che lo ZX81 non aveva mica una memoria. Aveva 1 kilobyte, 1 Kb!: prendi i 16 Gb del mio Mac, li dividi prima per 16 e poi per un milione, rendo l'idea?, diciamo qualcosa capace di contenere solo il testo di un unico foglio dattiloscritto con 30 righe di 60 caratteri, poi stop. E in quello spazio ci doveva stare il programma, la gestione di ogni punto dello schermo, le variabili e non ricordo più cosa. Come dire: siete in 4? Prendete quella Smart per due, ma entrate con attenzione che dentro già c'è un comodino, una lampada a piantana e la nonna con la sua poltrona preferita, lei senza la sua poltrona non si muove di casa. Pare nulla ma al tempo era abbastanza: c'è chi in quella caccola di spazio ha addirittura programmato il gioco degli scacchi. Giuro. Ordine mentale perfetto, gestione delle risorse al massimo, genialità pura.

Lo ZX81. La Sinclair stava raggiungendo i 140 dipendenti; sir Clive Sinclair, il fondatore, era un genio classe '40 che aveva il pallino del rendere economiche e portatili le cose elettroniche costose. Fece calcolatrici minuscole alla portata di tutti quando solo pochi potevano permettersi quelle da scrivania, diffuse i computer, inventò sciocchezze come le prime inguardabili TV piatte e un triciclo elettrico ottimo per suicidarsi, il C5, tanto basso che per farsi vedere dagli autisti delle automobili si doveva aggiungere un'asta alta con una bandierina. Ora sir Sinclair è un arzillo vecchietto che due anni fa ha divorziato da una gran topa giovanissima e produce bici ripiegabili a Londra. Chiuse la sua azienda di computer nel 1985. Perché i computer divennero molto diversi dalle lucidatrici. Fare cose economiche e durature non era più competitivo. Steve Jobs invece con costosissimi  prodotti a obsolescenza programmata rinnovati ogni anno ha fatto della Apple il primo brand al mondo. Strana la storia.

Era l'82, ora ne sono sicuro. Nell'82 presi lo ZX81. Perché a fine '83 passai allo ZX Spectrum, l'incredibile evoluzione dello ZX 81: 48 Kb di memoria anziché 1, colori, grafica, suoni. Beh, suoni. Suoni no, erano biiip più o meno acuti. Che però tecnicamente erano suoni. E i colori erano solo 8, quasi tutti inguardabili. Certo non brutti come quelli del Commodore 64, il suo concorrente. Ci sono ancora lotte tra i fedeli dello Spectrum e quelli del C64. Non dipende dalle caratteristiche tecniche delle macchine scegliere quale fosse superiore, dipende dall'amore. Al tempo questo si provava per il proprio computer.

ZX Spectrum. Sembrava che Sinclair avesse imparato la lezione di non mettere più la data di uscita nel nome, niente ZX82. Invece fece peggio: pubblicizzò quella che era la grande novità, i colori, con il nome Spectrum. "Comprate me, ho i colori gente, i colori! L'ultima meraviglia per i computer! Dove lo trovate un altro cosobuffo che costa così poco con i colori?"
Bum: appena uscì lo Spectrum tutti i computer casalinghi avevano già i colori. Come se oggi la Fiat pubblicizzasse il modello "io ho anche le ruote! E il volante è in omaggio, ma quello rotondo, un cerchio perfetto, che fa pendant con le ruote, perché io ho anche le ruote eh". La Commodore, furba come solo il vecchio Jack Tramiel poteva essere, commerciante come solo l'America sa essere, sottolineò nel nome il punto di forza del prodotto, la memoria: C64, ben 64 Kb di memoria contro i 48 dello ZX Spectrum. Partita vinta, USA-UK 1 a 0. Poco importa che poi la memoria usabile fosse superiore nello ZX Spectrum, è il marketing dolcezza.

Vendetti lo ZX81 per comprare lo Spectrum accecato dal futuro, dai colori, dai biiip. E poi mi sentii come uno che vende il proprio bastardino affettuoso per comprarsi un altro cane più bello. Carogna ingrata. Ho ricomprato lo ZX81 pochi anni fa per nostalgia e per sensi di colpa, mi sono sempre considerato un idiota per aver venduto il mio primo computer. Quindi ora ho uno ZX81, ma non è il mio ZX81.

Il mondo nell'83 dello Spectrum e del C64 non era cambiato: la gente comune ancora si chiedeva con sorrisetto di sufficienza cosa ci trovassi in quelle macchine inutili, spenderci soldi e tempo e non servivano proprio a nulla. Odio i sorrisetti di sufficienza. In edicola c'erano due sole riviste sui computer, poco più che ciclostili, e stavano sempre vicine alle riviste porno. Un ragazzo che passava tempo sul computer appariva come uno sfigato; uno che se avesse avuto rapporti sociali avrebbe passato altrimenti le sue serate. Ora, beh, ora è un altro mondo. Ora si sa per certo che chi passa le serate al computer è uno sfigato. Ma si può invocare l'aver passato la serata al computer per l'esigenza di lavorare/studiare/creare così da darsi un tono.

Perché ti parlo di tutto questo? Perchè oggi, proprio oggi, lo ZX81 compie 38 anni. Fu lanciato il 5 marzo 1981.
38 anni fa nacque l'oggetto che mi prese i pensieri ancora impastati, li passò nel filtro e ne fece ordinati spaghetti tanto lineari che Spock ne sarebbe fiero.
38 anni fa crearono l'oggetto che mi fece sentire un genio nel perdere solo mezz'ora per vedere un rachitico orologio silenzioso su una TV in bianco e nero.
38 anni fa qualcosa mi avrebbe reso divertente far mangiare bolle a pesci di parentesi e lettere pigiando su tasti di membrana (che lo ZX81 non aveva mica una tastiera vera).
38 anni fa un oggetto inutile aveva così pochi comandi che anche uno come me poteva impararli su un manuale di lingua sconosciuta e accedere a quella che sarebbe poi diventata l'informatica con semplicità, gestendo pochi strumenti e imparando a ottimizzarli per necessità.
38 anni fa qualcosa dimostrò al mondo che anche il piccolo è abbastanza, che il futuro non aspettava più, che la rivoluzione iniziava così, dai ragazzi che risparmiavano la paghetta per un sogno giudicato idiota da tutti gli altri.

Ecco, questa è la mia storia, che sarebbe stata differente se nell'81 sir Clive Sinclair avesse già scoperto la sua vocazione di latin lover tardivo e avesse preferito le gran tope al posto del sogno di diffondere i computer nelle case di tutti. Stamattina quindi ho preso il mio-non mio ZX81 e l'ho guardato con un sorriso. Perché a volte ci sono momenti, oggetti, luoghi, che sono precisamente là dove qualcosa è cambiato e la vita ha preso un'altra strada, quella che mi ha portato qui. Non sempre si riesce a capire quale fu il momento, l'oggetto o il luogo causa di un cambiamento, anzi quasi mai. A volte. Stavolta sì. Grazie allo ZX81 ho amato lo Spectrum; con l'esperienza in programmazione (Basic, capirai!) ho iniziato a lavorare ai database DBase III per le librerie d'antiquariato nell'83; con i soldi guadagnati sono andato avanti con le mie passioni e ho avuto un'alternativa quando Odontoiatria iniziava a starmi stretta, accettando un posto di lavoro da tecnico del computer e segnando il mio futuro sin qui.
Ora se mi danno dell'informatico penso sia una bugia, una frottola. Come darmi del proprietario terriero solo perché ho un sacco di terriccio Compo Sana per gerani. Al tempo ero uno dei ragazzi del computer e dopo 38 anni posso accettare un lecito dubbio sulla parola ragazzo ma il succo è quello.
Ho una vita legata all'informatica, ero lì quando è nata, ci ho creduto, l'ho amata, nel tempo mi sono sentito tradito e valorizzato alternativamente. L'ho vista nascere, crescere, trasformarsi, invaderci. L'ho seguita fino a condurmi e condurci sino a qui, ora. Il mio, il nostro presente è nato esattamente 38 anni fa. E so bene quando, dove e da cosa tutto questo è nato. Quel piccolo giocattolo fu la chiave di volta tra il mondo che c'era prima e quello che c'è ora. E noi eravamo lì.

Grazie sir Sinclair. Auguri ZX81.

venerdì 21 aprile 2017

Non è mica facile scrivere fantascienza!

Colosseo, gladiatori  Natale di Roma? 2770 anni fa due fratelli litigarono per il nome da dare a un investimento edilizio e ci scappò il morto. 800 anni dopo l’imperatore Claudio decise di festeggiare quella data, ma porca vacca dovevano passare altri 1500 anni prima dell’uso dei calendari affidabili, quindi Claudio ricavò la data dai calcoli astrologici, che è come scrivere la storia d’Italia basandosi su Novella 2000 e Cronaca Nera. E oggi, 27 secoli e mezzo dopo quell’omicidio, sotto lo scheletro dell’arena dove ci si ammazzava per spettacolo ci sono signori seri con poco plausibili uniformi di metallo e stoffa rossa a cui va tutta l’attenzione di ogni telefonino, palmare e smartphone presente nei dintorni.


   Una delle cose che adoro della fantascienza è la caratteristica di vedere ciò che è sotto gli occhi di tutti con significati nuovi. A volte basta cambiare una parola, come da risorto a non morto, ("La Pasqua: Anche quest'anno si è celebrato contemporaneamente l'alzarsi in cielo di un non morto e la fuga di un popolo attraverso un mare temporaneamente prosciugato da un dio, festeggiando con uno sterminio di cuccioli da sbranare e un rompere uova di cioccolata a pugni. No, in questo mondo non è mica facile scrivere fantascienza") o astrarre dal contesto un singolo evento, e tutto cambia. Una volta un mio amico definì "embrioni uccisi col calore e uniti a pezzi di pancia spellata" le semplici uova e pancetta, orripilante ma efficace. Non mi piace l'orripilante, preferisco l'esempio di Men In Black, dove il nostro vicino potrebbe nascondere un profugo extraterrestre protetto dal Governo.
Così a volte provo a osservare gli eventi normali come se fossi un alieno capitato qui per caso e la conclusione è sempre la stessa: ragazzi, uno scrittore di fantascienza ha vita davvero difficile, tutto quello che c'è di assurdo e incredibile già lo abbiamo trasformato in ovvio e quotidiano! E, sì, spesso è anche orripilante. Capita.

mercoledì 14 settembre 2016

Il girasole improbabile

  E45, subito dopo l'uscita per Umbertide, direzione Roma. Dal mio lato la strada ha una doppia corsia, poi un cordolo bruttino di cemento e di là le altre due corsie in senso opposto. Intorno campagna e colline.

  Beh? Beh: le improbabilità. Stavo giusto ponzando su quanto sia improbabile per me, impiegatuccio anonimo famigliodotato, riuscire a mantenere un biplano impegnativo come Greta, che ecco là la risposta. Alla base di quel cordolo di cemento tra le carreggiate opposte.

  Di solito nelle fessure tra cemento e asfalto nasce qualche ciuffo d'erba, al massimo un tarassaco i cui soffioni sono spazzati via giovanissimi dalla turbolenza delle vetture in corsa.
  Stavolta invece no: mi dà le spalle addirittura un girasole.
  L'improbabilità.
  Una pianta giovane ma alta, con il fiore ben aperto pronto ad abbronzarsi appena le nubi lo permetteranno. Al centro dell'autostrada, contro ogni logica, contro ogni probabilità.

  OK, è un caso assurdo. Ma che insegna a non scrivere i propri piani secondo le probabilità di successo altrimenti ci precluderemmo la possibilità di farci sorprendere.
  Forse quindi Greta passerà un lungo e radioso futuro con me. Contro le probabilità.

  E mentre inizio a dirmi che la penso così perché mi fa comodo, perché sto tornando da un meraviglioso week end di volo sulla costa veneta dove ho vissuto i miei sogni (improbabili pure loro, e ormai avverati come quel girasole), mentre mi dico che il problema è nei conti entrate-uscite che i numeri mica giocano, ecco che abbasso lo sguardo. Il GPS mi dice i chilometri che mancano: 123. Il contachilometri parziale mi dice quelli che ho fatto: 456.
  Va bene, mi arrendo. Quante probabilità c'erano di pensare che i numeri non giocano e subito dopo abbassare l'occhio nel momento dell'123 456? (Tante, lo so, inconsciamente i miei occhi avevano già visto quei numeri e mi hanno convinto ad abbassare lo sguardo... No, OK. mi sto zitto.)

  Mi arrendo. Non valuto più le probabilità per prendere la decisione.
  E un attimo dopo il cielo con le nubi arancioni del tardo pomeriggio si accende di saette e lampi, nastri elettrici che adornano il cielo di luci pure, in uno spettacolo unico di archi proprio sopra la mia strada che mi accompagnerà sino a Fiano Romano.

  Mai mettere in dubbio l'improbabilità. E' il potere di farci sorprendere. OK Greta, ho capito. Grazie.

giovedì 7 aprile 2016

Faccio coming out.

  OK, faccio coming out. E' corretto.

  Chi mi conosce sa già che, secondo la visione comune, ho pensieri contro la "normale" natura umana, faccio cose per cui il mio corpo non è stato creato, ho desideri contro natura che mi fanno sentire vivo.
  Non è difficile vedermi in atteggiamenti che rendono chiare le mie tendenze e molti l'hanno notato. Quindi eccomi qui a fare coming out una volta per tutte, a dire chiaramente che no, non sono "normale", non ho nemmeno provato ad esserlo e se per questo mi viene chiesto di sentirmi un malato di mente, no grazie, c'è qualcosa di sbagliato e non è in me.

  Ecco, lo dico chiaramente: vado contro natura, è vero.
  Mio padre mi ha accettato, lui con la sua cultura all'antica non lo farebbe mai e all'inizio ha avuto problemi ma l'ha accettato e anzi ora è pure orgoglioso di me, di come vivo questa vita difficile di diverso dagli altri coetanei che vivono coi piedi per terra.
  A me piace volare.
  Sì, l'ho detto. Volare. Contro natura ché noi non siamo fatti per volare, contro la morale comune ché non si buttano così soldi e vite, contro lo stesso istinto di sopravvivenza. Con parapendii, biplani ultraleggeri, se serve ombrelli aperti, simulatori o solo fantasie (e no, ho le prove, usare tanto i simulatori non fa diventare ciechi).

  Vorrei gli stessi diritti degli altri e magari un giorno io e gli altri anormali riusciremo a ottenerli: hangar a prezzi di garage, facilità di trovare benzina nelle aviosuperfici, la possibilità di circolare più liberamente senza essere relegati in spazi aerei di serie B (anzi G) sotto gli aerei "normali", non doverci nascondere ogni volta che il Papa si affaccia e ci lancia contro un NOTAM, non essere più cacciati dagli aeroporti per ghettizzarci in campi fangosi come se si vergognassero di noi, non dover frequentare squallide club house private per trovare altri come noi.
  Magari un giorno, magari presto.

  Ecco, ho fatto coming out, mi ci è voluto coraggio e so di aver dato delusioni a chi mi conosce superficialmente ma io sono così: sono un diverso, mi piace volare, non posso farci nulla e non è una malattia. Spero di poter essere d'esempio ad altri e di leggere altri coming out, ora che l'ho fatto già mi sento più leggero e, si sa, essere più leggeri significa volare meglio.


Gianni

:D :D :D

martedì 29 marzo 2016

Astronauti e fumatori eccezionali



Treno, 7:30, verso l'ufficio. Leggendo l'autobiografia di Cheli, l'astronauta, che raccontava quanto gli fu difficile passare dalla seconda media nel paesino emiliano alla terza media nella grande Bologna. E poi eccolo là a fare missioni nello spazio. Mentre leggo si siede accanto a me un signore, 40-45 anni, giaccone rosso, puzza di sigaretta insopportabile, vecchi libri in mano. Chiama la mamma al cellulare e poi una scusa e si inizia a conversare. Io non sono mai ben disposto con chi mi interrompe una lettura, specie se puzza di fumo, ma l'antipatia dura poco: dai treni si passa alla politica, alla droga e infine all'amico morto per overdose conosciuto in comunità. Sì: perché il mio compagno di viaggio ha vissuto gran parte della sua vita in una comunità "voluta dal dr. Basaglia, legge 180" mi precisa, e ora vive in una casa famiglia. Problemi mentali non precisati, di cui resta un segno nel modo di parlare e nel muoversi più del dovuto sul piccolo seggiolino. Legge vecchi libri di politica e storia, si dichiara un rivoluzionario pacifista, difende gli animali, ahimé sceglie di non andare a votare. Parla tanto, si muove troppo, puzza come una discarica per posaceneri. Insomma, una persona da cui la maggior parte della gente si siede lontana: invece alle mie domande sulla vita in comunità si è illuminato e il libro di Cheli, l'astronauta che aveva problemi in terza media, è diventato banale. E poi con orgoglio mi ha detto che un giorno è diventato tanto autonomo da essere messo in uscita dalla comunità, fare addirittura un corso per office automation ("i computer" precisa) a piazza Bologna, un corso durato un intero anno. "Ora - mi dice con un evidente orgoglio - so passare le fotografie dalla macchinetta fotografica al computer". Alza un dito a sottolineare con fiera competenza: "Col cavetto".
Gente così merita ogni bene, ogni augurio. Sono stato felice di aver avuto vicino quella puzza di fumo stamattina, con buona pace del libro di Cheli. Gli ho fatto i miei migliori auguri e lui li ha fatti a me. Raggiungere i propri traguardi misurati col proprio metro, esserne orgogliosi. Andare a lavoro con lo stesso impegno e fierezza con cui si va nello spazio. Se mai andrò nello spazio difficilmente ripenserò alla terza media di Cheli ma ogni volta che sposterò foto dalla macchinetta fotografica al computer ("col cavetto") senza dubbio penserò a questo incontro, e saprò che per qualcuno ciò che riteniamo banale è una meta conquistata con orgoglio.

L'ho seguito con lo sguardo perdersi nella folla della metro a Piramide, unico giacchetto rosso tra il fiume di uniformi eleganti e tanto grige. Auguri, fumatore. Grazie per l'invasione.

venerdì 8 gennaio 2016

Il bruconcetto

  E' solo una sensazione, certo, ma ho trovato il modo di esprimerla.

  I bruchi. Prendi i bruchi. No, non con le dita: intendo il concetto. Sono vermi (che gli zoologi mi perdonino la semplificazione), fanno una vita da vermi misurandola con una scala da vermi, poi a un certo punto smettono di mangiare, non gli va più di muoversi, si rinchiudono sempre più soli e scompaiono alla vista. "Era tanto buono". Macchè, ovviamente eccoli tornare. Riaprono tutto e hop saltano fuori. Solo che non sono più vermi, sono qualcosa di splendido e completo come non lo erano mai stati, sono finalmente ciò che erano destinati a diventare. E magari gli altri bruchi non li riconoscono nemmeno. "Ma sono io, sono Mario!" "Oh splendida creatura, non mi prenda in giro solo perché sono un insignificante bruco, Mario è morto, l'ho visto io chiudersi e smettere di mangiare"
  Ecco.

  Ora lasciati contagiare dalla mia fantasia malata e immagina, per un attimo, che anche noi siamo bruchi. Facciamo la nostra vita gustosa ma strisciante. Però immagina che ci manchi qualcosa nella vita per cui il processo di trasformazione in ciò di splendido e completo che dovremmo davvero essere sia ormai compromesso, perso. Continuiamo rassegnati la vita da vermi, circondati da cose importanti solo per i vermi, con un vago malessere per qualcosa di più completo che ci manca, sino alla fine.

  Non so come si possa chiamare questa sensazione ma sta lì e finalmente gli ho dato una forma.
  E ora vado a rosicchiarmi una foglia a mensa.

martedì 18 agosto 2015

Prima Direttiva un corno

  Partiamo dalle basi, quelle sono facili.
  Una civiltà primitiva quando entra a contatto con una civiltà più progredita soccombe. E non disturbiamo Pizarro e la sua mandria di fucilieri sportivamente a caccia di indios o i cartelli vendesi schiavo nero semiusato a prezzo di realizzo. Prendiamo proprio il caso del paesino del Nepal che diventa meta turistica, improvvisamente le capre non sono più ragione di vita, diamogli cinque anni e vedremo cellulari, parabole e ADSL tra le priorità della popolazione.
  Sei primitivo? Io sono tecnologicamente avanzato. Piacere e condoglianze.
  Su Star Trek l’hanno risolto con la Prima Direttiva: “mica è bello entrare in contatto con civiltà poco progredite, finiremmo col cambiarle e renderle simili a noi o altri disastri”.
E anche noi crediamo che sia una cosa mostruosa quando una società avanzata distrugge una società meno dedita a cose come la tecnologia, l’ansia, la fretta e il creare code ai caselli autostradali nei ponti festivi: insomma una civiltà primitiva. :)

  Mi è venuto da pensare che invece noi abbiamo più e più volte distrutto società meno avanzate, e saremo distrutti a nostra volta da qualcosa di superiore che verrà. E questo non solo sta bene a tutti ma viene apprezzato e agevolato.
  Mi spiego: c’era una società agricola e di artigiani che è stata distrutta nello scontro con una società che aveva inventato le macchine a vapore e i turni in fabbrica. La società che aveva fatto dei cavalli il proprio mezzo di trasporto riempendo il mondo di abbeveratoi, stalle, maniscalchi e carrettieri è stata colonizzata e spazzata via dall’incontro con la società che usava i motori a scoppio e i treni, e questi colonizzatori hanno distrutto abbeveratoi stalle eccetera sostituendole con benzinai, asfalto, caselli autostradali, parcheggi e assicuratori. Così una società basata sulla meccanica capace di creare la pascalina e il contometro è stata annientata da una società che le ha presentato l’elettricità, e questa a sua volta si è arresa sino all’estinzione di fronte a una civiltà che usa l’informatica ovunque, tanto che oggi non esiste nulla senza processori e programmi.
  Sono esempi a caso ma ogni volta che qualcuno ha fatto fare un balzo avanti alla tecnologia lungo strade nuove ecco che il risultato è stato lo stesso che se avessimo incontrato una civiltà più progredita: prima eravamo su una strada che conoscevamo sin troppo bene, vedevamo dove andava e come ci andava, e di colpo un bivio, si cambia percorso, ci si scontra con il nostro futuro e si soccombe ad esso.
  A ogni balzo tecnologico in avanti è come se due società, la vecchia e la nuova, si scontrassero ed entrassero in competizione per una vittoria scontata. Quindi siamo stati invasi mille volte da noi stessi, mille volte abbiamo dovuto soccombere per lasciare il dominio all'invasore più progredito.


  Probabilmente siamo l’unica specie vivente orgogliosa di colonizzarsi da sola continuamente.

martedì 31 dicembre 2013

ipocriṡìa (ant. ipocreṡìa e pocriṡìa) s. f. [dal gr. ὑποκρισίη, forma rara per ὑπόκρισις «simulazione», der. di ὑποκρίνω «separare, distinguere», e nel medio ὑποκρίνομαι «sostenere una parte, recitare, fingere»].


  Maddavero?! Mi chiedono di non usare fuochi d'artificio illegali, fabbricati in Cina da schiavi spesso minorenni, importati di contrabbando, usati da gente che finisce al pronto soccorso con menomazioni spesso gravi su di sé o sui propri figli, e mi chiedono di non usarli... perché spaventano i cani? :D

  (No, non sono polemico. Se volessi essere polemico farei notare che sul 90% delle immagini di auguri di buon anno e sui filmati ci sono fuochi d'artificio, esplosioni, luci. E comunque non mi tange, la prima volta che farò esplodere della polvere pirica sarà al primo giorno della rivoluzione, con buona pace dei cani)

P.S.: buon nonsobenecosa© a tutti! :)

lunedì 2 aprile 2012

Forma e funzione dei mangiatori di Nutella


  Forma e funzione. Che c’è di complicato?
  La funzione modella la forma, la forma rende più semplice la funzione.
  Lasciamo stare il collo delle giraffe e prendiamo in esame qualcosa di più spicciolo.
  Se noi dovessimo correre tutti i giorni per delle ore, beh, il corpo si modellerebbe diventando pian piano il più adatto possibile a svolgere la funzione della corsa. Se dovessimo continuamente sollevare pesi, i muscoli si adeguerebbero per facilitarci l’operazione (o ci suggerirebbero di smettere subito con una convincentissima ernia).

  Ecco, questa è la cosa buffa. Dovrebbe essere il corpo a trasformarsi per renderci più facile svolgere una nostra esigenza, la forma modellata dalla funzione.
  E invece? Invece un mucchio di gente corre per trasformare il corpo in un corpo adatto alla corsa, e alza pesi per trasformare il corpo in un corpo adatto ad alzare pesi. Da matti, no? :) E così ci sono corpi adatti alla corsa che non hanno nessun bisogno di correre, anzi abitano la scrivania dalle 8 alle 17. E corpi adattati ad alzare decine di chili con i bicipiti che poi devono alzare solo pratiche di lavoro.

  Stesso discorso per l'abbronzatura. Una componente dei raggi solari è dannosa alla pelle, genera dimeri di timina, una cosa che solo a sentirla viene da grattarsi. Così quando la pelle è esposta al sole crea melanina, che scurisce la pelle per difenderla e bloccare la penetrazione della componente dannosa dei raggi solari.
  Insomma, ci mettiamo al sole per trasformare la pelle in una pelle scura adatta a esporsi al sole! E poi con quei corpi ci rinchiudiamo in uffici a cubicolo e case con lampade a basso consumo...

  Perché facciamo tante fatiche? Per pura estetica. Quindi troviamo belli i corpi adatti alla corsa, capaci di sollevare pesi, con buone difese contro il solleone.
  Evidentemente il nostro orologio biologico è tarato a qualche secolo indietro. Ho paura a immaginare quali saranno i canoni estetici fra trecento anni, quando il maschio dominante sarà l'impiegato perfetto…

martedì 6 marzo 2012

Benvenuti nel buffo spettacolo!


  Il corpo che indossiamo è un burattino. Nello spettacolo in cui si muove vive come gli altri burattini, convincendosi che tutto ciò che ha intorno sia la realtà, testone di cartapesta incluso.

  Nel burattino c'è una mano. Noi siamo la mano. Nascosti dentro il burattino, la parte veramente viva di quel corpo che si crede vero. Ma ci vuole un briciolo di pazzia per immaginarlo sul serio.

  Lo spettacolo è una finzione, una pantomima in cui le mani imparano sempre più l'arte del burattinaio, come un pianista ad ogni esecuzione impara a muoversi sulla tastiera in maniera sempre più perfetta. Quando un burattino muore forse la mano si sfila e indossa una nuova maschera, diventando un nuovo personaggio e comportandosi di conseguenza, ma conservando l'abilità che ha imparato sinora. O forse no. Quando lo scoprirò sarà troppo tardi per scriverlo in questo blog.

  Oltre il teatrino c'è un corpo unico. Un essere buffo con milioni di mani. Io sono spudoratamente agnosta, e come tutti gli agnostici convinti ma curiosi e senza preconcetti credo in qualcosa. Uh beh non lo chiamerò mai dio, e no. Un corpo unico che unisce tutte le mani e condivide con loro la vita, così come l'oceano unisce tutte le onde e dà loro la vita. Magari una semplice fonte d'energia spaventosamente immensa di cui noi, noi-mani, siamo le propaggini.

  È un buffo spettacolo questo. E ci distrae continuamente dal burattinaio con un milione di mani, anche se noi siamo parte di quel burattinaio.

  Beh, ho sempre creduto che la realtà sia solo il teatrino di questo burattinaio. Ultimamente poi un libro mi ha perseguitato ovunque andassi, Autobiografia di uno yogi di Pramahansa Yogananda, finché non l'ho acquistato. E ho scoperto che simpatici mattacchioni indiani dallo humor di un capocomico hanno fatto scienza di questo semplice quadro. Molti di loro sono mani senza burattini, non ne hanno più bisogno, altri entrano ed escono dal teatrino a piacere. Wow.
  Non credo che questo libro mi cambierà la vita, come continua ad affermare una mole inimmaginabile di gente magari sconosciuta che incontro casualmente, perché non mi dice nulla di veramente nuovo. Però me la renderà molto più felice dal momento che mi conferma che non sono l'unico strampalato visionario su questo pianeta di cartapesta. :)

mercoledì 21 dicembre 2011

Quindi non cliccare sul link.


  Il nostro corpo ha mille piccole cosine da sistemare in ogni momento. Ma, grazie al cielo, nessuno (o quasi) passa tutto il tempo disponibile a farsi la manutenzione ordinaria: nessuno si controlla continuamente ogni cm di pelle, ogni organo, ogni valore chimico. Semplicemente sistemiamo quel poco che ci capita sotto gli occhi: i capelli, un'unghia spezzata, l'ematocrito quella volta ogni due anni che non possiamo esimerci dal fare le analisi del sangue.
  Sistemiamo solo quel poco che ci capita sotto gli occhi.
  Quindi il trucco per vivere sereni sta nel vedere il meno possibile.

  La casa, beh, la casa ha mille piccole cosine da sistemare. In ogni momento. Ma anche qui, piuttosto che andare a fare analisi strutturali e indagini a raggi X, sistemiamo quando è indispensabile solo ciò che ci capita sotto gli occhi. Una lampadina fulminata, un soffitto da imbiancare, ciò in cui lo sguardo inciampa.
  Basta essere un po' distratti e ci si evita un mucchio di lavoro.

  Possiamo allargare sempre più il cerchio e il discorso è il medesimo.
  In questo mondo ci sono milioni di cose da sistemare. In ogni momento. Nessuno di noi potrebbe sistemarle tutte, un atavico istinto di sopravvivenza ci evita di preoccuparci di tutto. Ma ognuno nonostante la tendenza a fregarsene capita che inciampi in un briciolo di questi problemi, solo un briciolo. La spazzatura differenziata. Le cure efficaci per le neoplasie. I parcheggi introvabili. La pubblicità nella cassetta della posta. Le centrali nucleari. La caduta dei capelli. La TAV.
  Ognuno, quando proprio è costretto, fa qualcosa nel suo piccolo per ciò che non ha potuto evitare di notare. Ma solo per quel poco, per carità. Non si può fare di più se ci teniamo alla nostra vita, ma non si può fare di meno se ci teniamo alla vita dell'intero pianeta. E quel briciolo fatto da ognuno è il miracolo che ci permette di mandare avanti il mondo.
  Devo dirlo? Basta chiudere gli occhi e ci risparmiamo un mucchio di seccature.

giovedì 22 settembre 2011

Politica e zaini


Le metafore non sono mai perfette, ma aiutano a capire.
  Uno zaino. Ti regalano uno zaino. Beh, mica si dice di no a uno zaino, ti pare?
  Così tutto contento lo infili, è leggero e resistente, niente male. Ed è gratis.
  Poi dopo un po' ti sei abituato a sentirlo sulle spalle. E in quel momento, ecco, zzzip ti aprono un pochino la lampo dello zaino e ci infilano una pietra.
  Niente di che, poco più di un sasso. La differenza di peso è insignificante, non è né troppo poca per ignorare la cosa né troppa per ribellarti. Ci rimani male? E dai, si tratta solo di un sasso. Mica puoi toglierti lo zaino per questo.
  Così ora porti sulle spalle lo zaino. E un sasso dentro.
  Ti ci abitui.
  In quel momento, zzzip. Un secondo sasso.
  Ehi, scherziamo? Ma ormai sai che al primo ti ci sei abituato subito, in fondo non è un vero fastidio, poco tempo e ti abituerai anche al secondo peso. E poi che altro dovresti fare?  Fermarti, slacciare gli spallacci ben saldi, togliere lo zaino, aprirlo e rovesciare i sassi in strada? Troppa fatica. E intorno a te tutti, proprio tutti portano lo stesso zaino con gli stessi due sassi. Di che ti lamenti? Vuoi rinunciare allo zaino per due sassi?
  Incredibilmente al peso del secondo sasso ti ci abitui in metà tempo.
  E zzzip. Terzo sasso.
  Ormai sai come funziona. Lasci fare. Un sasso in più che vuoi che sia?
  Lasci fare. Ti abitui al peso crescente sempre in meno tempo. Addirittura dopo un po’ ti aspetti senza più stupirti l’arrivo del prossimo sasso, hai già pronta una protesta da bisbigliare giusto per pro-forma, ti lamenti ma lo zaino è sempre sulle spalle, sempre più pieno e più pesante sasso dopo sasso. Impari a muoverti differentemente da prima, non corri più, cammini sempre con più fatica: ma impari prima a gestire, poi a tollerare e quindi a sopportare il peso.
  Sino a che, piano piano, non diventa davvero troppo, troppo pesante. Ti schiaccia.
  Ti avessero subito messo sulle spalle uno zaino così opprimente ti saresti ribellato immediatamente urlando e tirando calci ma no, piano piano, abituandoti a ogni sasso in più, ormai non puoi ribellarti. Tutto quel peso sempre crescente che hai accettato e sopportato ormai ti ha sfiaccato, non hai le forze per protestare come dovresti. E zzzip, ecco una pietra e ancora una pietra a seguire. Ti schiaccerà e lasci fare perché ormai non riesci più neanche ad alzarti in piedi.
  Ecco, questo è il sunto di ciò che la politica attuale ha fatto ai cittadini. Piano piano, ingiustizia su oppressione, abbiamo protestato ma accettato tutto. Se ci avessero dato subito un Governo di truffatori capace di ridurre al lastrico i lavoratori e senza futuro i figli, capace di distruggere tutte le conquiste e i progressi ottenuti nei decenni, beh, avremmo detto di no, troppo pesante da portare sulle spalle, ci saremmo ribellati con decisione e fermezza.
  Ma sasso su sasso eccoci sfiaccati, troppo occupati a lottare con le ultime forze per restare non dico in piedi ma almeno in ginocchio mentre il peso ci spinge a terra, con lo zaino che si apre in attesa della prossima pietra a cui non sappiamo se riusciremo a sopravvivere.
  E zzzip...

martedì 18 marzo 2008

Ambulanze, danze spaziali, pezzi di luna


Beh, e' giunto il momento di chiamare la neuro per un ricovero immediato.
Glub.
Un intero pianeta ricoverato in clinica. Come ipotizzò Douglas Adams, d'altronde. Mica scemo Douglas.

Dunque. La domanda è: quale evento ha deciso che siamo giunti alla frutta? Forse le balorde elezioni politiche in cui non votiamo né per un programma, né per un partito né per una persona ma per una coalizione o per la sua fotocopia? Forse il Governo, costituito da presuntuosi scrittori di fantascienza (traduz.: raccontafrottole) che non hanno alcun legame con la realtà oltre il proprio vasto portafogli? (sì, incidentalmente sto leggendo "La casta"). No, di più: forse perché la nostra vita è decisa dalle multinazionali farmaceutiche che ci spacciano per buone cose che manco al peggior nemico andrebbero date, e noi lì a credere che i vaccini siano cosa buona tanto da somministrare quel cocktail di veleni ai nostri figlioli già da lattanti, e sovvenzionare ricerche truffaldine?
No.
Cioè, sì, questi sono argomenti già validissimi per mettere in quarantena la Terra, ma stavolta a convincermi della follia planetaria è stato Internet.

Due siti: non saprei dire quale è più folle...

Il primo a pensarci su non dovrebbe essere tanto folle, se ci ha pensato sir Branson, il miliardario a capo dell'enorme Virgin. Non è uno stupido, e se fa qualcosa c'è di sicuro un motivo.
Ma questa qui è carina: su www.virgingalactic.com si pubblicizza la prima compagnia di voli turistici sub-orbitali per miliardari! Dall'anno prossimo chi acquista il salato biglietto può essere ospite dell'evoluzione della SpaceShipOne e divertirsi a fare l'astronauta. Per carità, niente uscite extraveicolari e niente allunaggi, siamo ancora lontani; ma danzare a gravità zero, vedere la Terra tonda nella sua corsia della Clinica Neurologica, scendere giù attraverso l'aurora boreale, beh, questo sì. Perdere tempo a guardare il bel sito in Flash è un obbligo. Magari dopo aver fatto un giretto su www.kiva.org.

Il secondo sito a pensarci su non dovrebbe essere tanto folle, ma questo già l'ho detto a proposito del primo. Dunque, le leggi dicono che nessun Governo può rivendicare diritti di possesso sui corpi spaziali. Ma non è così per i privati.
Ai tempi della colonizzazione americana i coloni prendevano possesso degli appezzamenti semplicemente dichiarando "questa terra è mia", e una coppia di simpaticoni inglesi (connazionali di Branson, quindi: e io che pensavo che i matti fossero gli americani!) ha rispolverato questa vecchia usanza. Ha indicato la Luna e ha detto "Mia!", ha puntato Venere e "Mia", e così Marte: "Mio!". E ora vendono su Internet appezzamenti di terreno di questi tre corpi, in previsione della colonizzazione che, NASA, ESA o altri, verrà fatta da qui al prossimo secolo. Un acro 16 sterline, 10 acri 94 sterline. Con documenti originali, mica cacchio. www.moonestates.com.
Ovviamente è una truffa. Questo almeno è il primo pensiero, ma se il pensiero fosse corretto non starei qui a scrivere di cliniche e pazzi: già da anni ci sono romantici affaristi che vendono il diritto a dare nomi alle stelle, mia figlia alla nascita ha ricevuto in regalo una stellina di Ercole che ora porta il nome di Neve... Certo, nome usato solo all'interno della società che ha incassato i soldi, ovvio: il mondo scientifico non sa, non saprà mai e non deve sapere che la stellina di Ercole da tre persone viene chiamata con un nome diverso da quello universalmente accettato dagli astronomi.
Così se ne scrivo significa che il pensiero "è una truffa" non è esatto: il possesso di Luna, Marte e Venere, la vendita dei terreni a prezzi popolari, i contratti registrati... E' tutto LEGALE! Porca vacca, i tipi hanno rispettato tutte le leggi e ora la loro è un'attività lecita e legale. Ecco perché ne parlo qui. Trenta euro, un acro (4000 metri? Non sono esperto), niente tasse da pagarci su, e se un giorno ci atterra un astronauta gli chiedi il pedaggio.

Ambulaaanzaaaaa!!