mercoledì 21 dicembre 2011

Quindi non cliccare sul link.


  Il nostro corpo ha mille piccole cosine da sistemare in ogni momento. Ma, grazie al cielo, nessuno (o quasi) passa tutto il tempo disponibile a farsi la manutenzione ordinaria: nessuno si controlla continuamente ogni cm di pelle, ogni organo, ogni valore chimico. Semplicemente sistemiamo quel poco che ci capita sotto gli occhi: i capelli, un'unghia spezzata, l'ematocrito quella volta ogni due anni che non possiamo esimerci dal fare le analisi del sangue.
  Sistemiamo solo quel poco che ci capita sotto gli occhi.
  Quindi il trucco per vivere sereni sta nel vedere il meno possibile.

  La casa, beh, la casa ha mille piccole cosine da sistemare. In ogni momento. Ma anche qui, piuttosto che andare a fare analisi strutturali e indagini a raggi X, sistemiamo quando è indispensabile solo ciò che ci capita sotto gli occhi. Una lampadina fulminata, un soffitto da imbiancare, ciò in cui lo sguardo inciampa.
  Basta essere un po' distratti e ci si evita un mucchio di lavoro.

  Possiamo allargare sempre più il cerchio e il discorso è il medesimo.
  In questo mondo ci sono milioni di cose da sistemare. In ogni momento. Nessuno di noi potrebbe sistemarle tutte, un atavico istinto di sopravvivenza ci evita di preoccuparci di tutto. Ma ognuno nonostante la tendenza a fregarsene capita che inciampi in un briciolo di questi problemi, solo un briciolo. La spazzatura differenziata. Le cure efficaci per le neoplasie. I parcheggi introvabili. La pubblicità nella cassetta della posta. Le centrali nucleari. La caduta dei capelli. La TAV.
  Ognuno, quando proprio è costretto, fa qualcosa nel suo piccolo per ciò che non ha potuto evitare di notare. Ma solo per quel poco, per carità. Non si può fare di più se ci teniamo alla nostra vita, ma non si può fare di meno se ci teniamo alla vita dell'intero pianeta. E quel briciolo fatto da ognuno è il miracolo che ci permette di mandare avanti il mondo.
  Devo dirlo? Basta chiudere gli occhi e ci risparmiamo un mucchio di seccature.

martedì 1 novembre 2011

Il paradiso

   Una giornata di nubi e mare, le donne che hanno riempito la casa di bellezza ora sono da Decathlon, io qui nella penombra dello studio a sorseggiare yerba mate e macinare fotografie da sistemare con Aperture sul Mac a ritmi da operaio inglese di inizio '900. La casa pian piano si lascia avvolgere dalla sera, quando la musica finisce tutto è silenzio.
   Adoro tutto questo. Se dovessi immaginarmi il paradiso, crederei di esserci in questo momento.

domenica 9 ottobre 2011

E a volte è autunno, improvvisamente.


  La vita?

  Ci sono cose brutte e cose molto brutte.
  L'essenziale è saperlo, accettarlo e imparare a riderne.
  Una volta che si riesce a ridere di questo tutto il resto è bellezza pura.

  Come chi, ormai capace di apprezzare la pozzanghera, poi giudica il mare.

giovedì 6 ottobre 2011

L'uomo che ha inventato il futuro

  Steve Jobs, 1955-2011.


  Di solito le dipartite dei personaggi famosi non mi toccano, penso a tutti quelli che muoiono avendo fatto cose molto più importanti come tirare avanti una famiglia senza un briciolo di fama o riconoscimenti.
  Ma Jobs è l'uomo che ha creato questo presente quando tutto ciò era ancora il futuro di un visionario.


  Buon viaggio Steve.

mercoledì 5 ottobre 2011

Il giorno in cui Uichipedìa pùf


  Stamattina a sorpresa la pagina di Wikipedia presentava delle scuse. E basta.
  Per il DDL intercettazioni e in particolare per il suo comma 29 chiunque può dire "ciò che hai scritto lede la mia immagine" e lo scrittore, giornalista blogger o altro, ha 48 ore di tempo per cancellare o ritrattare quello che ha scritto. Nessun organo si preoccupa di verificare che l'offesa esista, la legge si preoccupa solo di verificare che entro 48 ore l'articolo sia ritrattato.
  Bene, a queste condizioni Wikipedia, il sapere più anarchico della rete, non può esistere.
  Così la sezione italiana di Wikipedia (sì, si pronuncia uichipedìa) pùf, chiusa, una pagina di scuse e spiegazioni e basta.
  Facebook sarà una condanna ma è un tam tam eccezionale. In pochissime ore la notizia si è diffusa, si sono formati gruppi di indignati con centinaia di migliaia di consensi, si è organizzata alle 17:00 una manifestazione a Roma, davanti al Pantheon.
  Ero stato esattamente una settimana fa al Pantheon per una manifestazione sul pericolo della censura verso giornalisti e blogger. Che coincidenza. E allora, beh, era solo un pericolo più o meno vago, potevo capire che in piazza ci fossero solo quattro gatti.
  No, detto tra noi non lo capisco, ma facciamo finta.
  Stavolta? Beh, stavolta è una reazione immediata di rabbia, dai, ci sono centinaia di migliaia di consensi in Facebook, la piazza sarà piena!
  Macchè.
  Avevo una stanchezza da cani e le mie belle cosine da fare a casa, desideravo il mio studio e la mia famiglia più di ogni altra cosa. Ma devo avere qualcosa che non funziona e ci stavo male a non andare a protestare per questa ingiustizia che ci fa tornare nel fascismo più nero.
  Così eccomi di nuovo al Pantheon. E?
  E, sorpresa. Forse trecento persone.
  Beh, io sono un informatico e mi piacciono i numeri.
  Cinquanta erano turisti o passanti che si fermavano un po' e poi andavano via, dandosi il cambio.
  Cento erano giornalisti e fotografi, cavallette della notizia, la maggior parte disposti a ucciderti per fare una foto.
  Trenta erano showman in passerella: politici, funzionari governativi, giornalisti e rappresentanti di associazioni umanitarie, tutti a contendersi microfono e obiettivi per i loro cinque minuti di pubblicità.
  Cinquanta erano claque. Portabandiera da scena (non è strano quante magnifiche e ben vestite ragazze ci siano alle manifestazioni dove appaiono i politici?), amici degli oratori, pazzerelloni che volevano portare avanti un loro personale discorso e approfittavano del pubblico.
  Quanto rimane? Ottanta persone. Ecco.
  Quindi alla manifestazione eravamo ottanta.
  Centinaia di migliaia di indignati in Facebook, ognuno che scuote la testa, persino qualche "bisognerebbe manifestare!" e poi... Ottanta in piazza.
  Sinceramente ci sono rimasto male. Ma proprio male.
  È dura continuare ad avere fiducia nell'uomo e nella sua capacità di costruirsi un futuro degno. Di tutte le persone che conosco, di tutti i colleghi informatici e non, di tutti i contatti di Facebook: non c’era nessuno.
  Eppure qui si parla di censura di regime, si parla di libertà, della nostra libertà, si parla di un DDL attuale e della più grande perla di Internet oscurata.
  Nessuno.
  A un certo punto, mentre i venditori di parole facevano la staffetta sul palco per puro tornaconto personale, ho pensato "ma per quale motivo sono qui?"
  Poi ho ricordato e sono rimasto. Un motivo di nove anni che diventerà grande nell'Italia che le lascerò.

giovedì 22 settembre 2011

Politica e zaini


Le metafore non sono mai perfette, ma aiutano a capire.
  Uno zaino. Ti regalano uno zaino. Beh, mica si dice di no a uno zaino, ti pare?
  Così tutto contento lo infili, è leggero e resistente, niente male. Ed è gratis.
  Poi dopo un po' ti sei abituato a sentirlo sulle spalle. E in quel momento, ecco, zzzip ti aprono un pochino la lampo dello zaino e ci infilano una pietra.
  Niente di che, poco più di un sasso. La differenza di peso è insignificante, non è né troppo poca per ignorare la cosa né troppa per ribellarti. Ci rimani male? E dai, si tratta solo di un sasso. Mica puoi toglierti lo zaino per questo.
  Così ora porti sulle spalle lo zaino. E un sasso dentro.
  Ti ci abitui.
  In quel momento, zzzip. Un secondo sasso.
  Ehi, scherziamo? Ma ormai sai che al primo ti ci sei abituato subito, in fondo non è un vero fastidio, poco tempo e ti abituerai anche al secondo peso. E poi che altro dovresti fare?  Fermarti, slacciare gli spallacci ben saldi, togliere lo zaino, aprirlo e rovesciare i sassi in strada? Troppa fatica. E intorno a te tutti, proprio tutti portano lo stesso zaino con gli stessi due sassi. Di che ti lamenti? Vuoi rinunciare allo zaino per due sassi?
  Incredibilmente al peso del secondo sasso ti ci abitui in metà tempo.
  E zzzip. Terzo sasso.
  Ormai sai come funziona. Lasci fare. Un sasso in più che vuoi che sia?
  Lasci fare. Ti abitui al peso crescente sempre in meno tempo. Addirittura dopo un po’ ti aspetti senza più stupirti l’arrivo del prossimo sasso, hai già pronta una protesta da bisbigliare giusto per pro-forma, ti lamenti ma lo zaino è sempre sulle spalle, sempre più pieno e più pesante sasso dopo sasso. Impari a muoverti differentemente da prima, non corri più, cammini sempre con più fatica: ma impari prima a gestire, poi a tollerare e quindi a sopportare il peso.
  Sino a che, piano piano, non diventa davvero troppo, troppo pesante. Ti schiaccia.
  Ti avessero subito messo sulle spalle uno zaino così opprimente ti saresti ribellato immediatamente urlando e tirando calci ma no, piano piano, abituandoti a ogni sasso in più, ormai non puoi ribellarti. Tutto quel peso sempre crescente che hai accettato e sopportato ormai ti ha sfiaccato, non hai le forze per protestare come dovresti. E zzzip, ecco una pietra e ancora una pietra a seguire. Ti schiaccerà e lasci fare perché ormai non riesci più neanche ad alzarti in piedi.
  Ecco, questo è il sunto di ciò che la politica attuale ha fatto ai cittadini. Piano piano, ingiustizia su oppressione, abbiamo protestato ma accettato tutto. Se ci avessero dato subito un Governo di truffatori capace di ridurre al lastrico i lavoratori e senza futuro i figli, capace di distruggere tutte le conquiste e i progressi ottenuti nei decenni, beh, avremmo detto di no, troppo pesante da portare sulle spalle, ci saremmo ribellati con decisione e fermezza.
  Ma sasso su sasso eccoci sfiaccati, troppo occupati a lottare con le ultime forze per restare non dico in piedi ma almeno in ginocchio mentre il peso ci spinge a terra, con lo zaino che si apre in attesa della prossima pietra a cui non sappiamo se riusciremo a sopravvivere.
  E zzzip...

venerdì 27 maggio 2011

Scrittori e pasticceri

 Sai come comincia?
  Un quaderno, una penna. L'età per capire la differenza tra un punto e l'inequivocabile segno del passaggio di una mosca sul foglio. Ai miei tempi a quell'età si portava il grembiule.
  Prima i dettati e poi arriva un giorno che non ti rendi conto che è arrivato, te ne renderai conto anni dopo, così tanti anni dopo da dimenticare quale giorno sia stato.
  Le stradine che la penna traccia come percorsi magici sul quaderno raccontano qualcosa, qualcosa mai accaduto a qualcuno che non esiste, e come se fosse la cosa più naturale del mondo ecco la prima storia inventata e scritta. Beh, c'è quella sensazione, unica e preziosa: là, tra l'inchiostro scomposto e la fantasia, per un attimo i personaggi – solo per un attimo – ti sono parsi vivi.
  Io volo in parapendio. Prima si fa il corso, composto da saltelli in discesa e salite faticose a piedi. Discese brevi, salite lunghissime. Discese con la radio che ordina ogni cosa da fare, come un dettato ordina ogni cosa da scrivere, e salite dove l'unico rumore è quello del tuo fiato sempre più simile a Casco Nero di Guerre Stellari.
  Mi piace chiamarlo Casco Nero.
  Beh, un giorno arriva il momento del primo volo alto: lo sai, ti ci prepari, lo segni persino mentalmente sul calendario. E di colpo sei in aria, davvero tu e davvero in volo, la radio gracchia e poi si azzittisce, e quello come per magia è il tuo volo, il primo. C'è il germe di ogni altro volo che verrà.
  La prima volta che scrivi una storia no, non la segni sul calendario, ma è la stessa cosa. Non c'è più la voce che ti ordina cosa scrivere, ci sei davvero tu e davvero il tuo volo. E solo anni dopo capirai che quella storia conteneva già il germe di ogni altra storia che avrai mai l'opportunità di scrivere.
  Sei uno scrittore? Col grembiule e le dita sporche di inchiostro, col quaderno macchiato dell'unto e dello zucchero delle ciambelle della merenda, sei uno scrittore?
  Ma per piacere.
 Poi c'è il momento in cui si diventa uomini. No, non pensavo a niente di sexy. Intendevo: apri la valigetta, tiri fuori il mostro meccanico dalle mille zampette raccolte, ti siedi comodo davanti. Infili il foglio, il suono che scorre sul rullo è una sinfonia. Tre colpi di levetta con la mano sinistra per dare margine superiore, e si comincia. Dal titolo, ovviamente.
  Non siamo più sul quaderno: la macchina da scrivere, trappola di metallo sempre pronta a intrecciare le zampine a un millimetro dal foglio, esige importanza. Un titolo ci vuole. Centrato, in maiuscolo, e se vuoi esagerare basta spostare una levetta e lo si scrive in inchiostro rosso.
  Ho scritto un romanzo intero in triplice copia con quella trappola. Il ritmo sotto le dita accelerava a ogni capitolo, in principio a creare la musica erano solo due dita, poi quattro, e prima dell'ultimo capitolo le mani danzavano scomposte ma utilizzando tutte le dita. Una cosa simile ti fa sentire il padrone del mondo. Anche quando devi scomporre i fogli A4 piegati a metà in quinterne diaboliche, e capire su ogni origami quale pagina ci vada stampata sopra, quattro pagine ogni foglio e ovviamente l'errore fatale che ti obbliga a ribattere tutto capita sempre nella quarta pagina, così non resta che gettare tutto il foglio e ricominciare da capo.
  Sei uno scrittore se ti senti il padrone del Mondo battendo a macchina?
  Ma per favore.
 Il grande salto arriva. Internet per chi scrive è una magia insostituibile. Sia per la fase creativa, dove non sei obbligato a fermare tutto per andare in biblioteca a consultare chissà quale testo; sia per conoscere altre persone che scrivono o, cosa molto più rara, altre persone che leggono. E che magari in preda alla sindrome del buon samaritano decidono proprio di leggere i tuoi di racconti. Magari sperando che poi tu legga i loro, cosa che non sempre accade.
  In pochi mesi sei dentro una fitta rete di persone che scrivono, leggono, commentano, discutono. Vivono la narrativa e tu con loro, come mai pensavi potesse accadere. Una fanzine qua, un ciclostile là, una rivista, oddio una rivista!!, che pubblica qualcosa col tuo nome sopra. Addirittura corri il rischio di vincere dei premi a qualche concorso di narrativa.
  Ecco, sei uno scrittore adesso, finalmente? Ora che scrivi, leggi, ti confronti ed evolvi, ora che qualcuno ti chiede ogni morte di Papa un racconto, sei uno scrittore?
  Ma per carità.
 Il lavoro, la famiglia. La narrativa si vive di meno, e con lei ogni altra passione. Il tempo è un lusso, eppure ora ci sono cose differenti da dire, meno geniali e travolgenti di prima ma più profonde, più vere. Meno pagine scritte, meno richieste, uno stile più maturo. Il che non sempre significa migliore.
  E poi la smania dell'ordine e il piacere edonistico fanno togliere il vezzo: l'autopubblicazione, chiunque può autopubblicarsi un libro, certo, ma vedere la copertina intorno ai racconti ti fa sentire più completo. La scusa è buona: i racconti sono tutti insieme, ordinati, anche se ti si incendia casa sono sul server del sito pronti per essere ristampati, e poi agli amici che ti chiedono qualcosa da leggere puoi dargli un prodotto presentabile.
  Bugie. I racconti non sono ordinati, tornerai ogni mese a correggere un refuso e creare l'ennesima revisione del libro. L'incendio di casa? Se ti si incendia casa, dammi retta, i racconti bruciati sono la tua ultima preoccupazione. E gli amici che chiedono da leggere, poi... Quanti saranno, tre? Quattro? E se quei quattro non hanno ancora letto nulla di tuo significa che non sono poi così smaniosi di conoscere i tuoi incubi.
  Comunque fatto sta che hai dei libri, copertina, nome dell'autore, numeri di pagina. Ed è bello vederli.
  Sei uno scrittore finalmente?
  Uff, scrittore un corno. Un corno.
 Uno non può chiamarsi pasticcere solo per aver spalmato la Nutella sul pane. Puoi anche fare montagne di dolci in casa ma non sei ancora pasticcere: sei uno cui piace fare dolci.
  Io adoro fare un originalissimo pane e Nutella. E adoro farlo perché ogni volta accade lo stesso miracolo di quel quaderno sporco d'inchiostro: per un attimo, ma solo per un attimo, i personaggi appaiono vivi. Quando accade non si segna nulla sul calendario, non si diventa di colpo scrittori. Si è solo fatto un ottimo pane e Nutella. Se poi qualcuno ne vuole assaggiare, bene, sono contento. Se nessuno ne vuole, poco importa. Quell'attimo in cui si è assaporata la vita di qualcuno che non esiste arriva lo stesso, non è certo una rivelazione cui il Mondo è obbligato a partecipare, nessuno si perderà nulla nella vita se non leggerà un Sarti. Solo io perderò qualcosa se non scriverò, se non sentirò il personaggio vivere, se quel personaggio non mi permetterà di vivere con lui una storia lontana.
 Poi accade. Fai pane e Nutella, sì, ma un giorno arriva con la macchina del tempo una simpaticissima giornalista e ti chiede un'intervista. E nell'intervista il tuo nome ha vicino quella parola zuccherina: scrittore. Non importa cosa tu abbia davvero fatto sinora, non importa chi leggerà l'intervista, importa solo che improvvisamente fare pane e Nutella è arte da pasticceri, e sembra allettante come teoria.
  Scrittore? È pericoloso soffermarsi sulla dolcezza di questa parola.
Ultimamente ho chiesto a un'amica che effetto fa sentirsi apprezzata dagli sguardi degli uomini. Mi ha confessato che prima arrossiva, ma poi ci si fa l'abitudine. Per un uomo è diverso. Un complimento è qualcosa cui si può anche credere, non siamo abituati a riceverne. Essere promossi a scrittore potrebbe apparire un complimento, e difatti arrossisco. Beh, no, però mi imbarazza. :) Poi per fortuna mi metto a ridere e passa tutto...
  C'è chi ha creduto davvero a questa lusinga, e non si è più ripreso. Poveretti.
  Scrivere per il gusto di farlo è una passione. Scrivere per vendere è un lavoro. Quello dello scrittore è un lavoro, si vendono cose che presuntuosamente sono fatte per essere lette. Si diventa librivendoli, si presume di avere cose interessanti da dire, si misurano i romanzi per numero di pagine e per copie vendute. Al contrario chi scrive per passione senza essere scrittore non misurerebbe mai le quantità del racconto. Eppure è bello sentirsi scrittori, eh?
 Non sarò mai uno scrittore. Mi piace troppo scrivere per diventarlo. Adoro parcheggiare qualche racconto su Continuum, un po' casa mia, un po' il posto dove trovo i miei amici. Adoro creare racconti secondo il mio concetto di perfezione, pensando al lettore perché il primo lettore dei miei racconti sono io. Ma non sarò mai uno scrittore per lo stesso motivo per cui non sarò un musicista né un fotografo.
  Semplicemente continuerò a spalmare Nutella sul pane.

mercoledì 25 maggio 2011

Fiaba e carbonara


  Diciamo che hai una voglia matta di pasta alla carbonara.
  Per tutto il giorno pensi alla carbonara, e quando torni a casa potresti trovare anche gli alieni in salotto ma niente ti impedirebbe di mescolare come un alchimista uovo, guanciale e pepe.
  Diciamo che mentre cucini l'aroma che si sprigiona è un allucinogeno più potente dell'LSD. Ogni mitocondrio urla "Carbonara! Carbonara!!", la salivazione raggiunge i ritmi di produzione di una piccola società idroelettrica, lo sfrigolio del guanciale provoca sensuali brividi di piacere. Assapori ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Tutto tranne uno: la fame. "Carbonara!!!"


  E diciamo che poi dopo aver versato quell'opera d'arte nel piatto ed averla portata sul tavolo, come un quadro si pone al centro della cornice, al primo boccone tutta la bellezza si dissolva: pasta scotta, o troppo sale, o uovo rappreso a frittata.
  Che delusione.
  Tanta gioia e appagamento nel prepararla, e ora…


  Ecco, alcuni mangerebbero egualmente quel piatto. Fino a ieri anche io non avrei sprecato uno spaghetto. Non sarà perfetto, beh, in realtà non è nemmeno decente, e comunque molto al di sotto delle aspettative minime; ma per tutti i Tupperware, ormai è stata cucinata con tanto amore e comunque sia è un peccato sprecarla.
  Oggi no. Oggi stranamente capisco che la mancanza di rispetto consiste nel mangiarla.
  Se ci sono delle aspettative, se queste aspettative possono essere mantenute, se abbiamo fatto del nostro meglio per puntare al massimo e ottenere un piatto di cui essere orgogliosi, perché accontentarsi?
  Bradbury ha gettato alle fiamme migliaia di pagine che tutti gli editori sarebbero stati felici di pubblicare. Perché non erano all'altezza delle sue aspettative.
  Steve Jobs al rientro in Apple annientò tutti i prodotti che davano soldi alla rovinata Apple ma che non lo rendevano orgoglioso della sua ditta.
  C'era persino la fiaba di un tale paranoide come pochi che affogò tutti i pupazzetti del suo videogioco conquistati sinora e ricominciò la partita con una coppia di ogni specie su un'arca, perché non era soddisfatto del risultato (ecco, questa fu una mossa che col senno di poi possiamo definire poco intelligente).


  Nel '92 finii di scrivere Fiaba. Era un ottimo piatto di carbonara, cucinato per sei anni. Ho assaporato ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Scrivere quel romanzo presuntuoso è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
  Eppure ora, servito in tavola, tutta la bellezza si dissolve. Non funziona, le buone idee si perdono nel mare di ripetizioni, le descrizioni originali stufano e appesantiscono.
  Eppure ci tenevo così tanto a questo romanzo che lo consideravo un punto d'arrivo.
  Ora ha una copertina, si acquista nelle librerie, vive di vita propria.
  Ma la pasta è scotta, il sale è eccessivo, l'uovo ha cotto a temperature eccessive.


  Non è facile farlo ma getto la pasta e ricomincio a cucinare da capo.
  Mangiare questo piatto significherebbe accontentarsi di non aver raggiunto lo scopo, mentre so di poterlo raggiungere e superare: Fiaba l'ho vissuto, non l'ho solo scritto, so bene cosa aspettarmi da lui, di certo non è questo tomo pesante e noioso.
  Così ora, in questo momento, apro il cestino, ritiro Fiaba dalla distribuzione e appena potrò ricomincerò a correggerlo, parola per parola, riscrivendo interi capitoli, lasciando solo ciò di cui sono orgoglioso sia come scrittore che come lettore. Perché Fiaba è il romanzo che ho sempre desiderato leggere, e non mi va affatto di accontentarmi.