mercoledì 25 maggio 2011

Fiaba e carbonara


  Diciamo che hai una voglia matta di pasta alla carbonara.
  Per tutto il giorno pensi alla carbonara, e quando torni a casa potresti trovare anche gli alieni in salotto ma niente ti impedirebbe di mescolare come un alchimista uovo, guanciale e pepe.
  Diciamo che mentre cucini l'aroma che si sprigiona è un allucinogeno più potente dell'LSD. Ogni mitocondrio urla "Carbonara! Carbonara!!", la salivazione raggiunge i ritmi di produzione di una piccola società idroelettrica, lo sfrigolio del guanciale provoca sensuali brividi di piacere. Assapori ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Tutto tranne uno: la fame. "Carbonara!!!"


  E diciamo che poi dopo aver versato quell'opera d'arte nel piatto ed averla portata sul tavolo, come un quadro si pone al centro della cornice, al primo boccone tutta la bellezza si dissolva: pasta scotta, o troppo sale, o uovo rappreso a frittata.
  Che delusione.
  Tanta gioia e appagamento nel prepararla, e ora…


  Ecco, alcuni mangerebbero egualmente quel piatto. Fino a ieri anche io non avrei sprecato uno spaghetto. Non sarà perfetto, beh, in realtà non è nemmeno decente, e comunque molto al di sotto delle aspettative minime; ma per tutti i Tupperware, ormai è stata cucinata con tanto amore e comunque sia è un peccato sprecarla.
  Oggi no. Oggi stranamente capisco che la mancanza di rispetto consiste nel mangiarla.
  Se ci sono delle aspettative, se queste aspettative possono essere mantenute, se abbiamo fatto del nostro meglio per puntare al massimo e ottenere un piatto di cui essere orgogliosi, perché accontentarsi?
  Bradbury ha gettato alle fiamme migliaia di pagine che tutti gli editori sarebbero stati felici di pubblicare. Perché non erano all'altezza delle sue aspettative.
  Steve Jobs al rientro in Apple annientò tutti i prodotti che davano soldi alla rovinata Apple ma che non lo rendevano orgoglioso della sua ditta.
  C'era persino la fiaba di un tale paranoide come pochi che affogò tutti i pupazzetti del suo videogioco conquistati sinora e ricominciò la partita con una coppia di ogni specie su un'arca, perché non era soddisfatto del risultato (ecco, questa fu una mossa che col senno di poi possiamo definire poco intelligente).


  Nel '92 finii di scrivere Fiaba. Era un ottimo piatto di carbonara, cucinato per sei anni. Ho assaporato ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Scrivere quel romanzo presuntuoso è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
  Eppure ora, servito in tavola, tutta la bellezza si dissolve. Non funziona, le buone idee si perdono nel mare di ripetizioni, le descrizioni originali stufano e appesantiscono.
  Eppure ci tenevo così tanto a questo romanzo che lo consideravo un punto d'arrivo.
  Ora ha una copertina, si acquista nelle librerie, vive di vita propria.
  Ma la pasta è scotta, il sale è eccessivo, l'uovo ha cotto a temperature eccessive.


  Non è facile farlo ma getto la pasta e ricomincio a cucinare da capo.
  Mangiare questo piatto significherebbe accontentarsi di non aver raggiunto lo scopo, mentre so di poterlo raggiungere e superare: Fiaba l'ho vissuto, non l'ho solo scritto, so bene cosa aspettarmi da lui, di certo non è questo tomo pesante e noioso.
  Così ora, in questo momento, apro il cestino, ritiro Fiaba dalla distribuzione e appena potrò ricomincerò a correggerlo, parola per parola, riscrivendo interi capitoli, lasciando solo ciò di cui sono orgoglioso sia come scrittore che come lettore. Perché Fiaba è il romanzo che ho sempre desiderato leggere, e non mi va affatto di accontentarmi.

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