mercoledì 5 ottobre 2011

Il giorno in cui Uichipedìa pùf


  Stamattina a sorpresa la pagina di Wikipedia presentava delle scuse. E basta.
  Per il DDL intercettazioni e in particolare per il suo comma 29 chiunque può dire "ciò che hai scritto lede la mia immagine" e lo scrittore, giornalista blogger o altro, ha 48 ore di tempo per cancellare o ritrattare quello che ha scritto. Nessun organo si preoccupa di verificare che l'offesa esista, la legge si preoccupa solo di verificare che entro 48 ore l'articolo sia ritrattato.
  Bene, a queste condizioni Wikipedia, il sapere più anarchico della rete, non può esistere.
  Così la sezione italiana di Wikipedia (sì, si pronuncia uichipedìa) pùf, chiusa, una pagina di scuse e spiegazioni e basta.
  Facebook sarà una condanna ma è un tam tam eccezionale. In pochissime ore la notizia si è diffusa, si sono formati gruppi di indignati con centinaia di migliaia di consensi, si è organizzata alle 17:00 una manifestazione a Roma, davanti al Pantheon.
  Ero stato esattamente una settimana fa al Pantheon per una manifestazione sul pericolo della censura verso giornalisti e blogger. Che coincidenza. E allora, beh, era solo un pericolo più o meno vago, potevo capire che in piazza ci fossero solo quattro gatti.
  No, detto tra noi non lo capisco, ma facciamo finta.
  Stavolta? Beh, stavolta è una reazione immediata di rabbia, dai, ci sono centinaia di migliaia di consensi in Facebook, la piazza sarà piena!
  Macchè.
  Avevo una stanchezza da cani e le mie belle cosine da fare a casa, desideravo il mio studio e la mia famiglia più di ogni altra cosa. Ma devo avere qualcosa che non funziona e ci stavo male a non andare a protestare per questa ingiustizia che ci fa tornare nel fascismo più nero.
  Così eccomi di nuovo al Pantheon. E?
  E, sorpresa. Forse trecento persone.
  Beh, io sono un informatico e mi piacciono i numeri.
  Cinquanta erano turisti o passanti che si fermavano un po' e poi andavano via, dandosi il cambio.
  Cento erano giornalisti e fotografi, cavallette della notizia, la maggior parte disposti a ucciderti per fare una foto.
  Trenta erano showman in passerella: politici, funzionari governativi, giornalisti e rappresentanti di associazioni umanitarie, tutti a contendersi microfono e obiettivi per i loro cinque minuti di pubblicità.
  Cinquanta erano claque. Portabandiera da scena (non è strano quante magnifiche e ben vestite ragazze ci siano alle manifestazioni dove appaiono i politici?), amici degli oratori, pazzerelloni che volevano portare avanti un loro personale discorso e approfittavano del pubblico.
  Quanto rimane? Ottanta persone. Ecco.
  Quindi alla manifestazione eravamo ottanta.
  Centinaia di migliaia di indignati in Facebook, ognuno che scuote la testa, persino qualche "bisognerebbe manifestare!" e poi... Ottanta in piazza.
  Sinceramente ci sono rimasto male. Ma proprio male.
  È dura continuare ad avere fiducia nell'uomo e nella sua capacità di costruirsi un futuro degno. Di tutte le persone che conosco, di tutti i colleghi informatici e non, di tutti i contatti di Facebook: non c’era nessuno.
  Eppure qui si parla di censura di regime, si parla di libertà, della nostra libertà, si parla di un DDL attuale e della più grande perla di Internet oscurata.
  Nessuno.
  A un certo punto, mentre i venditori di parole facevano la staffetta sul palco per puro tornaconto personale, ho pensato "ma per quale motivo sono qui?"
  Poi ho ricordato e sono rimasto. Un motivo di nove anni che diventerà grande nell'Italia che le lascerò.

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