venerdì 27 maggio 2011

Scrittori e pasticceri

 Sai come comincia?
  Un quaderno, una penna. L'età per capire la differenza tra un punto e l'inequivocabile segno del passaggio di una mosca sul foglio. Ai miei tempi a quell'età si portava il grembiule.
  Prima i dettati e poi arriva un giorno che non ti rendi conto che è arrivato, te ne renderai conto anni dopo, così tanti anni dopo da dimenticare quale giorno sia stato.
  Le stradine che la penna traccia come percorsi magici sul quaderno raccontano qualcosa, qualcosa mai accaduto a qualcuno che non esiste, e come se fosse la cosa più naturale del mondo ecco la prima storia inventata e scritta. Beh, c'è quella sensazione, unica e preziosa: là, tra l'inchiostro scomposto e la fantasia, per un attimo i personaggi – solo per un attimo – ti sono parsi vivi.
  Io volo in parapendio. Prima si fa il corso, composto da saltelli in discesa e salite faticose a piedi. Discese brevi, salite lunghissime. Discese con la radio che ordina ogni cosa da fare, come un dettato ordina ogni cosa da scrivere, e salite dove l'unico rumore è quello del tuo fiato sempre più simile a Casco Nero di Guerre Stellari.
  Mi piace chiamarlo Casco Nero.
  Beh, un giorno arriva il momento del primo volo alto: lo sai, ti ci prepari, lo segni persino mentalmente sul calendario. E di colpo sei in aria, davvero tu e davvero in volo, la radio gracchia e poi si azzittisce, e quello come per magia è il tuo volo, il primo. C'è il germe di ogni altro volo che verrà.
  La prima volta che scrivi una storia no, non la segni sul calendario, ma è la stessa cosa. Non c'è più la voce che ti ordina cosa scrivere, ci sei davvero tu e davvero il tuo volo. E solo anni dopo capirai che quella storia conteneva già il germe di ogni altra storia che avrai mai l'opportunità di scrivere.
  Sei uno scrittore? Col grembiule e le dita sporche di inchiostro, col quaderno macchiato dell'unto e dello zucchero delle ciambelle della merenda, sei uno scrittore?
  Ma per piacere.
 Poi c'è il momento in cui si diventa uomini. No, non pensavo a niente di sexy. Intendevo: apri la valigetta, tiri fuori il mostro meccanico dalle mille zampette raccolte, ti siedi comodo davanti. Infili il foglio, il suono che scorre sul rullo è una sinfonia. Tre colpi di levetta con la mano sinistra per dare margine superiore, e si comincia. Dal titolo, ovviamente.
  Non siamo più sul quaderno: la macchina da scrivere, trappola di metallo sempre pronta a intrecciare le zampine a un millimetro dal foglio, esige importanza. Un titolo ci vuole. Centrato, in maiuscolo, e se vuoi esagerare basta spostare una levetta e lo si scrive in inchiostro rosso.
  Ho scritto un romanzo intero in triplice copia con quella trappola. Il ritmo sotto le dita accelerava a ogni capitolo, in principio a creare la musica erano solo due dita, poi quattro, e prima dell'ultimo capitolo le mani danzavano scomposte ma utilizzando tutte le dita. Una cosa simile ti fa sentire il padrone del mondo. Anche quando devi scomporre i fogli A4 piegati a metà in quinterne diaboliche, e capire su ogni origami quale pagina ci vada stampata sopra, quattro pagine ogni foglio e ovviamente l'errore fatale che ti obbliga a ribattere tutto capita sempre nella quarta pagina, così non resta che gettare tutto il foglio e ricominciare da capo.
  Sei uno scrittore se ti senti il padrone del Mondo battendo a macchina?
  Ma per favore.
 Il grande salto arriva. Internet per chi scrive è una magia insostituibile. Sia per la fase creativa, dove non sei obbligato a fermare tutto per andare in biblioteca a consultare chissà quale testo; sia per conoscere altre persone che scrivono o, cosa molto più rara, altre persone che leggono. E che magari in preda alla sindrome del buon samaritano decidono proprio di leggere i tuoi di racconti. Magari sperando che poi tu legga i loro, cosa che non sempre accade.
  In pochi mesi sei dentro una fitta rete di persone che scrivono, leggono, commentano, discutono. Vivono la narrativa e tu con loro, come mai pensavi potesse accadere. Una fanzine qua, un ciclostile là, una rivista, oddio una rivista!!, che pubblica qualcosa col tuo nome sopra. Addirittura corri il rischio di vincere dei premi a qualche concorso di narrativa.
  Ecco, sei uno scrittore adesso, finalmente? Ora che scrivi, leggi, ti confronti ed evolvi, ora che qualcuno ti chiede ogni morte di Papa un racconto, sei uno scrittore?
  Ma per carità.
 Il lavoro, la famiglia. La narrativa si vive di meno, e con lei ogni altra passione. Il tempo è un lusso, eppure ora ci sono cose differenti da dire, meno geniali e travolgenti di prima ma più profonde, più vere. Meno pagine scritte, meno richieste, uno stile più maturo. Il che non sempre significa migliore.
  E poi la smania dell'ordine e il piacere edonistico fanno togliere il vezzo: l'autopubblicazione, chiunque può autopubblicarsi un libro, certo, ma vedere la copertina intorno ai racconti ti fa sentire più completo. La scusa è buona: i racconti sono tutti insieme, ordinati, anche se ti si incendia casa sono sul server del sito pronti per essere ristampati, e poi agli amici che ti chiedono qualcosa da leggere puoi dargli un prodotto presentabile.
  Bugie. I racconti non sono ordinati, tornerai ogni mese a correggere un refuso e creare l'ennesima revisione del libro. L'incendio di casa? Se ti si incendia casa, dammi retta, i racconti bruciati sono la tua ultima preoccupazione. E gli amici che chiedono da leggere, poi... Quanti saranno, tre? Quattro? E se quei quattro non hanno ancora letto nulla di tuo significa che non sono poi così smaniosi di conoscere i tuoi incubi.
  Comunque fatto sta che hai dei libri, copertina, nome dell'autore, numeri di pagina. Ed è bello vederli.
  Sei uno scrittore finalmente?
  Uff, scrittore un corno. Un corno.
 Uno non può chiamarsi pasticcere solo per aver spalmato la Nutella sul pane. Puoi anche fare montagne di dolci in casa ma non sei ancora pasticcere: sei uno cui piace fare dolci.
  Io adoro fare un originalissimo pane e Nutella. E adoro farlo perché ogni volta accade lo stesso miracolo di quel quaderno sporco d'inchiostro: per un attimo, ma solo per un attimo, i personaggi appaiono vivi. Quando accade non si segna nulla sul calendario, non si diventa di colpo scrittori. Si è solo fatto un ottimo pane e Nutella. Se poi qualcuno ne vuole assaggiare, bene, sono contento. Se nessuno ne vuole, poco importa. Quell'attimo in cui si è assaporata la vita di qualcuno che non esiste arriva lo stesso, non è certo una rivelazione cui il Mondo è obbligato a partecipare, nessuno si perderà nulla nella vita se non leggerà un Sarti. Solo io perderò qualcosa se non scriverò, se non sentirò il personaggio vivere, se quel personaggio non mi permetterà di vivere con lui una storia lontana.
 Poi accade. Fai pane e Nutella, sì, ma un giorno arriva con la macchina del tempo una simpaticissima giornalista e ti chiede un'intervista. E nell'intervista il tuo nome ha vicino quella parola zuccherina: scrittore. Non importa cosa tu abbia davvero fatto sinora, non importa chi leggerà l'intervista, importa solo che improvvisamente fare pane e Nutella è arte da pasticceri, e sembra allettante come teoria.
  Scrittore? È pericoloso soffermarsi sulla dolcezza di questa parola.
Ultimamente ho chiesto a un'amica che effetto fa sentirsi apprezzata dagli sguardi degli uomini. Mi ha confessato che prima arrossiva, ma poi ci si fa l'abitudine. Per un uomo è diverso. Un complimento è qualcosa cui si può anche credere, non siamo abituati a riceverne. Essere promossi a scrittore potrebbe apparire un complimento, e difatti arrossisco. Beh, no, però mi imbarazza. :) Poi per fortuna mi metto a ridere e passa tutto...
  C'è chi ha creduto davvero a questa lusinga, e non si è più ripreso. Poveretti.
  Scrivere per il gusto di farlo è una passione. Scrivere per vendere è un lavoro. Quello dello scrittore è un lavoro, si vendono cose che presuntuosamente sono fatte per essere lette. Si diventa librivendoli, si presume di avere cose interessanti da dire, si misurano i romanzi per numero di pagine e per copie vendute. Al contrario chi scrive per passione senza essere scrittore non misurerebbe mai le quantità del racconto. Eppure è bello sentirsi scrittori, eh?
 Non sarò mai uno scrittore. Mi piace troppo scrivere per diventarlo. Adoro parcheggiare qualche racconto su Continuum, un po' casa mia, un po' il posto dove trovo i miei amici. Adoro creare racconti secondo il mio concetto di perfezione, pensando al lettore perché il primo lettore dei miei racconti sono io. Ma non sarò mai uno scrittore per lo stesso motivo per cui non sarò un musicista né un fotografo.
  Semplicemente continuerò a spalmare Nutella sul pane.

mercoledì 25 maggio 2011

Fiaba e carbonara


  Diciamo che hai una voglia matta di pasta alla carbonara.
  Per tutto il giorno pensi alla carbonara, e quando torni a casa potresti trovare anche gli alieni in salotto ma niente ti impedirebbe di mescolare come un alchimista uovo, guanciale e pepe.
  Diciamo che mentre cucini l'aroma che si sprigiona è un allucinogeno più potente dell'LSD. Ogni mitocondrio urla "Carbonara! Carbonara!!", la salivazione raggiunge i ritmi di produzione di una piccola società idroelettrica, lo sfrigolio del guanciale provoca sensuali brividi di piacere. Assapori ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Tutto tranne uno: la fame. "Carbonara!!!"


  E diciamo che poi dopo aver versato quell'opera d'arte nel piatto ed averla portata sul tavolo, come un quadro si pone al centro della cornice, al primo boccone tutta la bellezza si dissolva: pasta scotta, o troppo sale, o uovo rappreso a frittata.
  Che delusione.
  Tanta gioia e appagamento nel prepararla, e ora…


  Ecco, alcuni mangerebbero egualmente quel piatto. Fino a ieri anche io non avrei sprecato uno spaghetto. Non sarà perfetto, beh, in realtà non è nemmeno decente, e comunque molto al di sotto delle aspettative minime; ma per tutti i Tupperware, ormai è stata cucinata con tanto amore e comunque sia è un peccato sprecarla.
  Oggi no. Oggi stranamente capisco che la mancanza di rispetto consiste nel mangiarla.
  Se ci sono delle aspettative, se queste aspettative possono essere mantenute, se abbiamo fatto del nostro meglio per puntare al massimo e ottenere un piatto di cui essere orgogliosi, perché accontentarsi?
  Bradbury ha gettato alle fiamme migliaia di pagine che tutti gli editori sarebbero stati felici di pubblicare. Perché non erano all'altezza delle sue aspettative.
  Steve Jobs al rientro in Apple annientò tutti i prodotti che davano soldi alla rovinata Apple ma che non lo rendevano orgoglioso della sua ditta.
  C'era persino la fiaba di un tale paranoide come pochi che affogò tutti i pupazzetti del suo videogioco conquistati sinora e ricominciò la partita con una coppia di ogni specie su un'arca, perché non era soddisfatto del risultato (ecco, questa fu una mossa che col senno di poi possiamo definire poco intelligente).


  Nel '92 finii di scrivere Fiaba. Era un ottimo piatto di carbonara, cucinato per sei anni. Ho assaporato ogni suono, ogni odore, ogni colore appagando totalmente i sensi. Scrivere quel romanzo presuntuoso è stata una delle esperienze più belle della mia vita.
  Eppure ora, servito in tavola, tutta la bellezza si dissolve. Non funziona, le buone idee si perdono nel mare di ripetizioni, le descrizioni originali stufano e appesantiscono.
  Eppure ci tenevo così tanto a questo romanzo che lo consideravo un punto d'arrivo.
  Ora ha una copertina, si acquista nelle librerie, vive di vita propria.
  Ma la pasta è scotta, il sale è eccessivo, l'uovo ha cotto a temperature eccessive.


  Non è facile farlo ma getto la pasta e ricomincio a cucinare da capo.
  Mangiare questo piatto significherebbe accontentarsi di non aver raggiunto lo scopo, mentre so di poterlo raggiungere e superare: Fiaba l'ho vissuto, non l'ho solo scritto, so bene cosa aspettarmi da lui, di certo non è questo tomo pesante e noioso.
  Così ora, in questo momento, apro il cestino, ritiro Fiaba dalla distribuzione e appena potrò ricomincerò a correggerlo, parola per parola, riscrivendo interi capitoli, lasciando solo ciò di cui sono orgoglioso sia come scrittore che come lettore. Perché Fiaba è il romanzo che ho sempre desiderato leggere, e non mi va affatto di accontentarmi.